VERMISHORT
Il tornante, coronato dalla macchia
mediterranea, era stretto, ma lo spazio per girare e proseguire la solitaria
discesa sembrava sufficiente.
Sotto di me la costa, con i suoi paesi, e il mare appena rischiarato dai timidi
raggi lunari.
Avevo pensato assai velocemente a quanto un luogo potesse essere ammaliante,
senza esseri umani intorno.
Avevo pensato in una frazione di secondo che un giorno me ne sarei andato in
cielo a esplorare i pianeti, le stelle, le costellazioni.
Avevo pensato comunque troppo a lungo, perché senza rendermene quasi conto
stavo per finire giù dal poggio attraverso ulivi e buganvillee.
Mi aspettava una fine spettacolare e acrobatica, quasi un peccato che sarebbe
stato considerato un banale incidente del sabato notte, sinceramente meritava la
diretta televisiva con camera car a bordo.
Avrei travolto rami e ramoscelli, avrei svegliato qualche animaletto che
sonnecchiava, avrei disturbato gli spiriti locali, mi sarei pure schiantato
contro qualche villetta svegliandone i proprietari, forse una famigliola perbene
di Novara.
Nessuno poteva immaginare cosa fosse alle 3 di notte quell'antico borgo da cui
stavo tornando: le case di pietra avvinghiate con gioia sonnolenta sul pendio
del colle a godersi una vista mozzafiato, una incantata solitudine.
E adesso ero prossimo a morire, inutilmente pieno di energie…
Si stava facendo tardi, troppo tardi.
Basta ricordare, basta passato.
L'estate passata, sulla riviera di ponente, stavo uscendo di strada lungo un
tornante alle 3 di notte.
Ma non avevo più tempo; mi lanciai fuori dalla porta e all'ultimo decisi di
prendere la bici, l'aria fresca mi avrebbe dato una scossa.
Per quello che mi attendeva sarebbe stato meglio tardare il più possibile o non
arrivare mai a destinazione.
Pedalai verso il centro storico, lungo una strada frequentata solo da
automobili.
Sembrava che, per decreto legge, fosse stata proibita la circolazione a
qualsiasi forma di vita deambulante: solo umanoidi implacabili fusi con i loro
sedili e protetti da gusci di lamiera luccicante e metallizzata.
Mi avventurai con il pensiero su un'onda grigia e rombante; ero sulla cresta
più alta, un vero psicosurfer.
Invece di finire sul bagnasciuga andai quasi a sbattere contro l'ingresso della
galleria fotografica, al numero 10.
Mi guardarono subito male, per l'andatura da ciclista ciucco e l'aspetto
trascurato.
Salii al primo piano, ma l'amica che mi aveva invitato non era ancora arrivata.
Quando tre giorni prima Sofia mi aveva chiamato per propormi la serata mi aveva
detto che non potevo mancare, e di solito quando sentivo questa frase pensavo
che era meglio non mettere neanche il becco fuori dall'uscio: ma alla fine era
prevalsa la curiosità morbosa e avevo accettato l'invito sull'attenti, come un
fante votato al sacrificio e pronto a esporsi al fuoco nemico.
Si inaugurava l'esposizione di un fotografo inglese, di cui al momento non
ricordo bene il cognome (era qualcosa tipo Cunningham o Celthenham),
specializzato nel ritrarre rockstar e personaggi famosi.
Mentre mi aggiravo tra sconosciuti dall'aria poco amichevole, che si davano arie
da grandi esperti di rullini e negativi, gli unici volti familiari risultarono
essere quelli, appesi alle pareti, di Mick Jagger, Iggy Pop, Jerry Hall, Lou
Reed e Roger Moore.
La visione di quest'ultimo mi fece desiderare di essere in un ricevimento
all'ambasciata inglese, con alcuni agenti segreti di sua Maestà; almeno avrei
potuto sorseggiare dell'ottimo Dom Perignon e scroccare delle succulenti
ostriche.
Non sembrava essere presente l'autore delle foto (ma era ancora vivente?) e
neanche le celebrità della moda e del giornalismo di cui Sofia mi aveva parlato
(per quanto me ne potesse importare).
Ripresi a guardare le foto, alcune erano decisamente interessanti, ma sarei
potuto venire in un qualsiasi pomeriggio senza avere intorno tutti quei beoti
vanagloriosi.
Mi avvicinai al buffet; non prometteva grandi delizie, ma addentai lo stesso una
pallida pizzetta, tanto per far passare il tempo.
Il cameriere del servizio catering (in impeccabile giacca crema con alamari) mi
servì due flûte di spumante: non dissi nulla e li ingurgitai mettendomi in
disparte.
Tentai addirittura di attaccare discorso con personaggi apparentemente
passabili, ma ricevendone solo gelidi sorrisi.
Immaginai di trovarmi in un film neorealista, seduto sulla sedia impagliata di
un trani: un oste rubicondo mi versava del vino novello, mentre tre ruspanti
avventori mi invitavano al loro tavolo per un'avvincente partita di scopone
scientifico.
Quando tornai al presente Incrociai uno sguardo conosciuto e odioso: era
Rosanna, con i suoi occhialini da megera.
A salvarmi da lei fu l'arrivo di Sofia, addobbata come un carro allegorico di
Viareggio…
Eccomi finalmente al vernissage!
Solito sbattimento per parcheggiare, ma alla fin fine un posticino sul
marciapiede l'ho trovato: la Smart è fatta apposta per essere infilata ovunque.
Sono in ritardo clamoroso, mi staranno aspettando tutti!
Quando entro nel salone mi sento decine di occhi addosso, fa sempre piacere
essere al centro dell'attenzione.
"Sofia, è impossibile non notarti!", mi urla un pelato critico
d'arte.
Mi rendo conto che la mia gonna fucsia, il maglioncino verde pisello, la collana
arcobaleno, gli stivaletti arancione, il cappello blu con la veletta lilla e i
capelli tinti rosso tiziano siano un tantino esagerati: ma quest'anno vanno i
colori!
"Hi, Sofia!", mi sussurra la studentessa Erasmus di Zurigo.
Quanta bella gente, che ambiente internazionale!
Ecco gli amici dell'agenzia fotografica, come fanno a essere cosi trendy e allo
stesso tempo così alternativi?
E l'istruttore della palestra, che figo pazzesco!
Ecco Niccolò.
Non pensavo proprio venisse davvero, quando l'ho chiamato sul cell (un miracolo
che abbia risposto e che non fosse spento!) mi sembrava poco convinto.
Poverino, com'è fuori luogo qua dentro; sembra l'unico che non conosca un cane,
che non sia introdotto in alcun giro.
E' di sicuro un bravo ragazzo, un caro amico, quando vuole è anche simpatico;
però bisogna ammettere che è proprio sfigatello.
"Sofia, devo presentarti un tipo fantastico!", mi angoscia la collega
del call center.
Devo aiutarlo, presentargli qualcuno, metterlo a suo agio, ma che tristezza di
look, con quei pantaloni di velluto marrone!
E poi quella barba sfatta, al massimo può fare intellettuale di sinistra
cinefilo: lo stile trasandato può anche andare, ma deve essere curato!
Ma che fa, si butta sulle pizzette?
Devono essere rancide, io non toccherei nulla.
"Buonasera, carissima!", mi fa l'architetto brizzolato, impegnato
contemporaneamente in due strette di mano e in quattro conversazioni.
Niccolò si tracanna due bicchieri di spumante, uno dietro l'altro!
Che grezzo!
Dovrei vergognarmi di lui, ma sono sua amica e vado a salutarlo.
Lui mi risponde con un grugnito, la risposta meno banale che ricevo finora.
Lara e Sara, che ho conosciuto lo scorso settembre a Djerba, si intromettono e
mi presentano i loro pallosissimi ragazzi.
Mentre ricordiamo le meravigliose vacanze in Tunisia, noto che Niccolò è
sparito.
Quindi riappare: sta discutendo con Rosanna, sembra che non vadano molto
d'accordo.
Niccolò supera l'immagine in bianco e nero di Al Pacino, tutti e due
accigliati, e se la squaglia…
Quella stronza mi aveva già piantato in
asso.
Sofia in fondo non mi dispiaceva, ma era del tutto incapace di concentrarsi su
un' amicizia per volta.
Puntai impavido verso Rosanna, lanciandole un'occhiata di sfida.
Lei mi salutò perfidamente: "Ciao, che fai tutto solo?".
Replicai secco: "Anche tu non mi sembri così inserita".
E lei, con aria di superiorità: "Ma che dici, io qui sono di casa".
Le voltai le spalle come a una mentecatta e mi dileguai…
Quella notte sognai il fotografo inglese,
di cui al momento non ricordo bene il cognome (era qualcosa tipo Bingham o
Binsley), che mi ringraziava dall'aldilà per avere visto tutte le sue opere
esposte al numero 10, unico nella folla del vermissage.
Quindi mi apparve Sofia che veniva a trovarmi vestita da odalisca e, per farsi
perdonare, si esibiva nella danza del ventre: mi gustai la sua esibizione
stravaccato su cuscini di seta, divorando carnosi datteri.
Mi svegliai all'alba e uscii sul terrazzo; l'aria era profumata, come se lo smog
fosse svanito o avesse assunto un odore gradevole.
Mi figurai uno splendido tuffo carpiato, tipo Louganis dalla piattaforma
olimpica ai Giochi del 1984; forse sarei volato direttamente in un universo
sconosciuto e meraviglioso.
Ma, almeno per il momento, non potevo permettermi il lusso di suicidarmi.
Pensai a Sofia: sicuramente mi considerava uno sfigato.
Credo che avesse ragione; ma eravamo in tanti, la maggioranza.
Avremmo potuto vincere le elezioni e sarei diventato per acclamazione il nuovo
premier.
In fondo lo era anche lei, sfigata, nella sua superficiale infelicità.
Un giorno l'avrei rapita con la mia astronave per esplorare insieme i pianeti,
le stelle, le costellazioni.
L'avrei salvata.
Per ora potevamo solo goderci la nostra spassosa disperazione.