VERMISSAGE
Il tornante era stretto e
coronato dalla macchia mediterranea nella parte in cui il colle si inerpicava,
ma lo spazio per girare e proseguire la solitaria discesa sembrava sufficiente.
Sotto di me la costa con i suoi paesi e il mare appena rischiarato dai raggi
lunari.
Avevo pensato assai velocemente a quanto un luogo potesse essere ammaliante,
senza esseri umani intorno.
Avevo pensato in una frazione di secondo che un giorno me ne sarei andato in
cielo a esplorare i pianeti, le stelle, le costellazioni.
Avevo pensato comunque troppo a lungo, perché senza rendermene quasi conto
stavo per finire giù dal poggio attraverso ulivi e buganvillee.
Mi aspettava una fine spettacolare e acrobatica, quasi un peccato che sarebbe
stato considerato solo un incidente del sabato notte, sinceramente meritava la
diretta televisiva con camera car installata a bordo.
Avrei travolto rami e ramoscelli, avrei svegliato qualche animaletto che
sonnecchiava, avrei disturbato gli spiriti locali, mi sarei pure schiantato
contro qualche villetta svegliandone i proprietari, forse una famigliola perbene
di Novara.
Certamente, e questo mi rodeva assai, non sarei finito in mare tra i pesci e le
ninfe con un tonfo sontuoso o, romanticamente, con uno schianto infernale sulle
rocce.
Avrei battuto la capa e sarei deceduto in un amen, oppure sarei allegramente
bruciato saltato in aria insieme al mio bolide, con le ceneri disperse dalla
brezza marina all'alba.
L'aspetto più difficile sarebbe stato capire, almeno a chi gliene potesse
fregare qualcosa, che cosa ci facessi li, da solo, a quell'ora.
Aldilà dello scarso interesse che ero solito suscitare da vivo, quella fine
clamorosa e misteriosa sarebbe stata di sicuro un gustoso argomento di
conversazione, nei buoni salotti pacifisto-alternativi.
Nessuno poteva immaginare cosa fosse alle 3 di notte quel borgo antico, le case
di pietra avvinghiate con gioia sonnolenta sul pendio del colle che offriva una
vista mozzafiato, stormo di stelle in cielo e luci sfumate all'orizzonte.
Stavo tornando da una serata di bagordi con alcuni pirati della costa, un
meraviglioso gruppo di vecchi compagni di sbronze.
Al ritorno avevo passato il cartello stradale che segnala una località, nota
per un festival teatrale.
Ero tornato indietro per seguire l'indicazione e, al termine di una strada
stretta e tortuosa, ero arrivato.
A quell'ora non girava più anima viva.
Imboccai un vicolo, lungo cui si srotolava un tappeto rosso, e mi ritrovai su un
palcoscenico grigio e nero, circondato da scenografie di cartapesta e abitato da
attori immaginari, sentendo l'eco di applausi scroscianti e invisibili.
E adesso, solo per il semplice fatto che stavo abbandonando quel luogo magico,
ero prossimo a morire, in fondo ancora giovane e colmo di energie…
Si stava facendo tardi, troppo tardi…
Basta ricordare, basta passato.
Non facevo altro che ricordare: momenti bizzarri o inebrianti, pericoli scansati
per miracolo.
Come la scorsa estate, quando stavo uscendo di strada lungo un tornante alle 3
di notte..
Ma non avevo più tempo, dovevo ancora buttarmi dell'acqua addosso a casaccio e
deodorarmi e profumarmi; quindi raccattare una maglietta non troppo sporca o
qualche camicia stirata
Me l'ero presa comoda fino all'ultimo e ora cercavo di recuperare in extremis,
se non per arrivare in perfetto orario almeno per non sforare troppo.
Per quello che mi attendeva sarebbe stato meglio tardare il più possibile, o
forse non arrivare mai a destinazione.
Mi combinai quasi decentemente e mi lanciai fuori dalla porta, riuscendo
contemporaneamente a chiudere con tripla mandata e a chiamare l'ascensore.
All'ultimo decisi di prendere la bici, l'aria fresca mi avrebbe dato una scossa.
Mi sentivo intorpidito e svogliato, era forte la tentazione di tornarmene a casa
e seppellirmici dentro per i secoli a venire.
Alla fine prevalse la curiosità, ma ancora di più il perverso desiderio che mi
attirava verso un ambiente detestabile, frequentato da personaggi
prevedibilmente insopportabili.
Pedalai verso il centro storico, lungo una strada di palazzi lavati e stirati,
frequentata solo da automobili.
Sembrava che, per decreto legge, fosse stata proibita la circolazione a
qualsiasi forma di vita deambulante: solo umanoidi implacabili fusi con i loro
sedili e protetti da gusci di lamiera luccicanti e metallizzati.
La mente si fece un viaggetto.
La penisola irlandese di Dingle era una piccola antologia di bellezze gaeliche.
La strada che l'attraversava era una stretta striscia asfaltata, fiancheggiata
da illimitati pascoli e da spiaggie brulicanti di surfer.
Anch'io mi avventurai su un'onda grigia e rombante, ero sulla cresta più alta,
ebbro di adrenalina.
Invece di finire sul bagnasciuga, andai quasi a sbattere contro l'ingresso della
galleria fotografica, al numero 10.
Mi guardarono subito male, per la mia andatura da ciclista ubriaco e per il mio
abbigliamento fuori moda.
Comunque, volando sul mio surf immaginario, ero riuscito ad arrivare pressoché
in orario.
Ma non fu un bene; quando salii al primo piano non era ancora arrivato alcun
conoscente e, in particolare, mancava l'amica che mi aveva invitato all'evento.
Quando tre giorni prima Sofia mi aveva chiamato per propormi la serata mi aveva
detto che non potevo mancare, e di solito quando sentivo questa frase pensavo
che era meglio non mettere neanche il becco fuori dall'uscio: ma alla fine era
prevalsa la curiosità morbosa e avevo accettato l'invito sull'attenti, come un
soldato votato al sacrificio e pronto a esporsi al fuoco nemico.
Si inaugurava l'esposizione di un fotografo inglese, di cui al momento non
ricordo bene il cognome (era qualcosa tipo Cunningham o Celthenham),
specializzato nel ritrarre rockstar e personaggi famosi.
Mentre mi aggiravo tra sconosciuti dall'aria poco amichevole, che si davano arie
da grandi esperti di rullini e negativi, gli unici volti familiari risultarono
essere quelli, appesi alle pareti, di Mick Jagger, Iggy Pop, Jerry Hall, David
Bowie, Lou Reed e Roger Moore.
La visione di quest'ultimo mi fece desiderare di essere in un ricevimento
all'ambasciata inglese con alcuni agenti segreti di sua Maestà (la Regina, si
intende); almeno l'atteggiamento formale dei convenuti sarebbe stato
giustificato dalla ragion di Stato e avrei potuto sorseggiare dell'ottimo Dom
Perignon.
Non sembrava essere presente l'autore delle foto (ma era ancora vivente?) e
neanche le celebrità della moda e del giornalismo che Sofia mi aveva assicurato
fossero presenti (per quanto me ne potesse importare).
Continuai a trascinarmi tra (più o meno) giovani uomini e donne, che
discutevano di qualsiasi argomento permettesse loro di darsi un tono.
Ripresi a guardare le foto, alcune erano decisamente interessanti, ma sarei
potuto venire in un qualsiasi pomeriggio senza avere intorno tutti quei beoti
vanagloriosi.
Salutate un paio di presunte amiche che si erano finte contente di vedermi e
dopo due frasi di circostanza appena abbozzate si erano subito dileguate, mi
avvicinai alle vivande.
Il cibo non prometteva grandi delizie, ma addentai lo stesso una pallida
pizzetta, tanto per far passare il tempo.
Il cameriere del servizio catering (in impeccabile giacca bianca con alamari) mi
servì due flûte di spumante: non dissi nulla e li ingurgitai mettendomi in
disparte.
Tentai addirittura di attaccare discorso con personaggi apparentemente
passabili, ma ricevetti solo gelidi sorrisi.
Volevo tanto trovarmi in un film neorealista, in una scena in cui mi sarei
seduto sulla sedia impagliata di un trani e un oste rubicondo e schietto mi
avrebbe versato del vino novello, mentre tre avventori alticci mi avrebbero
invitato al loro tavolo per un'avvincente partita di scopone scientifico.
Ma mi trovavo lontano anni luce da quel mondo, su un'altra galassia, tra
presuntuosi alieni.
Decisi di andarmene con la mia astronave, ma per uscire dovevo per forza passare
davanti a un personaggio che detestavo; il suo sguardo severo e ottuso, dietro
occhialini da megera, si stava posando senza speranza su di me.
Già mi aspettavo le sue battutine di umorismo plastificato, il suo sarcasmo
inutile, lo snobismo collaudato.
Ma a salvarmi da Rosanna fu l'arrivo di Sofia, addobbata come un carro
allegorico di Viareggio.
Eccomi finalmente al vernissage!
Solito sbattimento per parcheggiare, ma alla fin fine un ragionevole posticino
sul marciapiede l'ho trovato!
Ostruirà un po' il passaggio, ma certo di sera non passeranno anziani o mamme
con il passeggino; e poi una Smart è fatta apposta per essere infilata ovunque.
Sono in ritardo clamoroso, mi staranno aspettando tutti!
Quando entro nel salone mi sento decine di occhi addosso; ammirazione o
lussuria, fa sempre piacere essere al centro dell'attenzione, in un ambiente
così stimolante.
"Sofia, è impossibile non notarti!", mi urla il critico d'arte
pelato.
Mi rendo ben conto che la mia gonna lunga fucsia, il maglioncino verde pastello,
la collana arcobaleno, gli stivaletti arancione, il cappello blu con la veletta
e i capelli tinti rosso tiziano siano un tantino esagerati, ma quest'anno vanno
i colori!
"Hi, Sofia!", mi sussurra la studentessa Erasmus di Zurigo.
Quanta bella gente, che ambiente internazionale!
Ecco gli amici dell'agenzia fotografica, come fanno a essere cosi trendy e allo
stesso tempo così alternativi?
E l'istruttore della palestra, che figo pazzesco!
Ecco Rosanna, sguardo intelligente e indagatore, nipote di un grande artista!
Ma di fianco a lei, incredibile, c'è Niccolò!
Non pensavo proprio venisse davvero, quando l'ho chiamato sul cell (un miracolo
che abbia risposto e che non fosse spento!) mi sembrava poco convinto.
"Come stai, Sofia?", mi dice annoiata l'ex compagna del liceo.
Poverino, com'è fuori luogo qua dentro; sembra l'unico che non conosca un cane,
che non sia introdotto in alcun giro.
E' di sicuro un bravo ragazzo, un caro amico, quando vuole è anche simpatico;
però bisogna ammettere che è proprio sfigatello.
"Sofia, devo presentarti un tipo fantastico!", mi angoscia la collega
del call center.
Devo aiutarlo, presentargli qualcuno, metterlo a suo agio, ma che tristezza di
look, con quei pantaloni di velluto marrone!
E poi quella barba sfatta, al massimo può fare intellettuale di sinistra
cinefilo: lo stile trasandato può anche andare, ma deve essere curato!
Ma che fa, si butta sulle pizzette?
C'è un mini buffet davvero penoso, io non toccherei nulla.
"Buonasera, carissima!", mi fa l'architetto brizzolato, impegnato
contemporaneamente in due strette di mano e in quattro conversazioni.
Prende due bicchieri di spumante?
Ma allora è in compagnia, c'è una donna con lui, magari la nasconde perché è
impresentabile come lui.
Ah no, se li tracanna di gusto, uno dietro l'altro!
Che grezzo!
Dovrei vergognarmi di lui, ma sono una sua amica e vado a salutarlo.
Lui mi risponde con un grugnito, ma è l'unico finora che non mi dice banalità
o cose già sentite mille volte.
Però ci sono Lara e Sara, che ho conosciuto lo scorso settembre a Djerba,
accompagnate dai loro rispettivi uomini.
Le due mi presentano i tipi, dall'aria vagamente squallida, e mi chiedono un
consiglio sulle pizzerie migliori della zona.
Intanto ho perso di vista Niccolò, magari ci è rimasto male ed è andato via!
Lara e Sara mi propongono di unirmi a loro, subito, per mangiare insieme una
pizza.
Effettivamente potevo fargli conoscere le due amiche, che ora mi ossessionano
che non ci vedono dalla fame e il buffet è scarso, ma non credo che gli
potessero interessare le due coppiette.
Sara e Lara insistono, vogliono mettersi a tavola con me e con i taciturni
fidanzati, per rievocare le meraviglie del villaggio vacanze tunisino.
Ma insomma, che credono, sono appena arrivata e devo dare retta a tanta gente,
molti li ho invitati io!
Intanto mi riappare Niccolò: sta discutendo con Rossana, sembra però che non
vadano molto d'accordo.
Certo che effetto strano vederli uno di fronte all'altra, tesi come corde di
violino, davanti a un'immagine davvero glamour di Gwyneth Paltrow.
Non so che fare.
Niccolò supera il volto di Al Pacino, accigliato come il suo, e scappa via…
Quella stronza mi aveva già piantato in
asso.
Sofia non era una cattiva ragazza, aveva sicuramente più cuore di molte delle
persone presenti a questa inutile e mal assortita inaugurazione.
In quanto a intelligenza non eccelleva particolarmente, ma la penalizzava molto
il ruolo che si era scelto: ragazza contemporanea iperattiva e superficiale,
capace di frequentare mille amici senza conoscerne bene neanche uno.
Allora puntai impavido verso Rossana, lanciandole un'occhiata di sfida.
Lei la colse al volo e mi salutò perfidamente: "Ciao, che fai tutto
solo?".
Replicai secco: "Anche tu non mi sembri così inserita".
E lei, punta sul vivo e con aria di superiorità: "Ma che dici, io qui sono
di casa".
A quel punto la presi per il collo, la sollevai da terra di un metro e la
schiacciai di schiena sul pavimento, una mossa che avevo visto fare in tv in un
incontro di wrestling.
Tutto il vermissage si girò, troppo sorpreso e inorridito per emettere suoni.
Si sentiva solo la mia vittima lamentarsi a terra, con un filo di voce che
diceva: "Mi hai proprio fatto un bel massaggio, adorabile ragazzo".
Non mi sentivo in colpa per lo sproposito commesso, anzi notavo con
soddisfazione che Rossana si era addolcita ed era diventata persino autoironica.
Immaginai tutto questo mentre scendevo le scale e inforcavo la bici.
Mi dimenticai subito di Rosanna, cui avevo semplicemente voltato le spalle come
a una mentecatta, e di Sofia, che mi lanciò uno sguardo imbarazzato.
Quella notte sognai il fotografo inglese, di cui al momento non ricordo bene il
cognome (era qualcosa tipo Bingham o Binsley), che mi ringraziava dall'aldilà
per avere visto tutte le sue opere, unico tra la folla del vermissage.
Quindi, sempre nel sonno, mi apparve Sofia che veniva a trovarmi vestita da
odalisca e per farsi perdonare si esibiva nella danza del ventre: mi gustai la
sua esibizione stravaccato su cuscini di seta e divorando dei succulenti
datteri.
Infine mi lanciai dal terrazzo in un volo spettacolare, diretto al giardino
delle delizie…
Quando mi svegliai era ancora buio e in
strada non si vedevano più neanche le auto: dovevano essere le quattro.
Uscii sul terrazzo, l'aria era profumata, come se lo smog fosse svanito o avesse
assunto un odore gradevole..
Senza pensarci troppo mi lanciai in uno splendido tuffo carpiato, roba da
Louganis dei tempi migliori: mentre scendevo non pensavo all'impatto e
all'atroce dolore delle ossa rotte, ma all'universo meraviglioso che mi
attendeva…
Tre giorni dopo, in un uggioso pomeriggio
di novembre, Sofia piangeva pensando a cosa aveva fatto Niccolò.
Per lei era come fosse morto.
Ma solo moralmente.
Perché il nostro eroe sfigatello, il principe degli sfigati aveva fatto un bel
salto, ma abitava al piano rialzato e il terrazzino dava su un soffice prato.
L'impatto al suolo gli restituì lucidità e coraggio.
Il giorno dopo mise in atto un piano terrificante e devastante: chiamò tutti
gli amici di Sofia che conosceva, dicendo che lei parlava male di tutti alle
loro spalle.
In meno di ventiquattro ore la voce si era diffusa tra le mille conoscenze della
finta rossa.
Improvvisamente era stata scaricata da tutti, ed ero stato così convincente che
nessuno si era preso la briga di contattarla per chiederle spiegazioni.
Si era ritrovata sola, anche lei sfigatella.
Forse un giorno si sarebbero sposati, e lui, come viaggio di nozze, l'avrebbe
portata in cielo a esplorare i pianeti, le stelle, le costellazioni.