Capitolo 1.


LA NASCITA DEL "FUMETTO NERO"
Diabolik, il "nero" borghese.
 
 

la nascita.
 


Tutto nacque il 1 novembre 1962. Il pubblico adulto stava subendo una sorta di revitalizzazione rispetto al fumetto, dopo la pausa del Dopoguerra. I quarantenni, autorizzati dall’attenzione al fumetto portata dai critici del costume, stavano rivisitando le sopite passioni adolescenziali che avevano consumato gli occhi sopra gli albi di Flash Gordon e l’Uomo Mascherato. Mentre rifioriva il gusto per quel fumetto che, nato in America per adulti, consumato in Italia per ragazzi, ora stava riproponendosi come lettura nostalgica per professionisti maturi, ecco che di colpo apparvero nelle edicole i libretti tascabili a fumetti di Diabolik.

Con un’intuizione a prima vista ingiustificata e pazzesca, due sorelle milanesi, miti e romantiche, a nome Giussani, danno vita al personaggio di Diabolik. Come Fantomas, è anche lui imprigionato in una vetero-mutanda che lo copriva tutto e al tempo stesso nascondeva e svelava. Nel senso che celava la possibilità per i poliziotti di allestire un decente identikit, mentre le forme scattanti di un corpo muscoloso in lotta con il destino, ebbene, quelle erano evidenziate, accarezzate, sottolineate e coccolate secondo le leggi di un trend che in questi personaggi dovrebbero fare anche da obiettivo o target sexy, che convoglia sia pur fumosi appetiti sessuali.

Diabolik, il personaggio nuovo, è quindi un atletico criminale in calzamaglia nera con gli occhi di ghiaccio dell’attore Robert Taylor, che si fa notare per il suo carattere apparentemente negativo. Uomo di profonda cultura ed arguta intelligenza, Diabolik ha deciso di applicare le sue virtù al crimine, con particolare attenzione e dedizione al furto con destrezza. Di fatto, Diabolik non è un innovatore, ma solo un replicante di eroi già noti, ma forse il suo segreto sta proprio in questa rassicurante serialità. Inizialmente è rappresentato come un criminale a tutto tondo: rapina, uccide, rapisce, sgozza, squarta e accoltella senza che questo lo possa turbare minimamente, con il più totale disprezzo per la vita altrui. Ogni mezzo è buono per raggiungere l’obiettivo prefissato. In questa fase Diabolik compare molto poco nelle storie di cui è protagonista e forse questa è una scelta precisa degli autori, volta a confermare l’immagine del personaggio diabolico, quasi un fantasma, altra cosa rispetto alla normale umanità. I gioielli, con particolare predilezione per i diamanti, e i soldi sono la principale molla che fa scattare Diabolik, facendogli concertare piani sempre più machiavellici. Lo psicologo Antonio Imbasciati giudica così la sua bramosia di denaro:

Si tratta di un furto immotivato, non necessario, privo di scopo ed utilità; un furto coatto, continuativo, un furto chiaramente patologico. Non è certo quell’oggetto specifico che ruba, né altra ricchezza, giacché l’ottenerla mai gli reca soddisfazione. È l’affermazione di sé che cerca, la potenza illimitata: per assicurarsi della propria inferiorità, della propria impotenza interiore. Per questo la rassicurazione esteriore, per le gesta compiute, non è sufficiente: l’ansia interiore rimane a riderlo, il sentimento della propria nullità resiste a qualunque smentita obbiettiva e razionale.

Nel corso dell’evoluzione narrativa il personaggio Diabolik si arricchisce di mille sfaccettature. Oltre a condividere la propria vita con Lady Kant, scopriamo lentamente la sua vita privata, la sua attenzione alle notizie di cronaca, la sua passione per l’arte a l’alta gioielleria, la sua maestria elettrotecnica, la sua passione per la Jaguar E ma, soprattutto, la sua capacità di curare la propria psiche fino a diventare quasi un uomo normale. Se, infatti, il primo Diabolik non poteva che essere uno psicopatico, il Diabolik della fase centrale e della maturità è senza ombra di dubbio un uomo equilibrato, che ama il proprio lavoro, che apprezza le doti dei propri avversari, che ama la propria compagna. Comunque non combatte per la legge come i tradizionali eroi dei fumetti, ma contro di essa, per fini assolutamente amorali. Il furto e l’omicidio fanno parte del suo modus vivendi; furto ed omicidio compiuti però con abilità ed intelligenza fuori dal comune. Solo sette anni dopo la nascita, esce in edicola l’episodio Diabolik chi sei?, in cui viene rivelato il passato dell’eroe. Unico sopravvissuto di un naufragio, all’età di un anno, Diabolik viene salvato da un’associazione criminale cui sono affiliati specialisti di tutti i campi e che ha base su un’isola; capo indiscusso è King. Diabolik vive ignorato da tutti e sviluppa presto ottime capacità di risolvere da solo i problemi quotidiani. L’allievo cresce, supera il maestro e lo uccide, fuggendo dall’isola con il tesoro accumulato dai criminali. Vissuto fuori dal mondo civile, senza legami d’affetto e di sangue come una pianta sradicata, allevato nel Male, lo persegue con la naturalezza di chi non sceglie, perché non sa che esistono altre strade. Per Diabolik si coniò il termine di "fumetto nero". In realtà, come più tardi Buzzati e Origlia ebbero ad osservare, le avventure di Diabolik non sono nere ma gialle, anche se impostate su un personaggio poco ortodosso. Ed infatti, a prima vista, lo si confondeva con la marea di gialli, a tutto testo, che proprio in quel periodo godevano di una certa diffusione.    Ma il boom di questo nuovo genere danneggiò proprio la letteratura gialla tradizionale, tanto che gli editori dei fumetti si trovarono di fronte non soltanto i moralisti che condannavano in astratto i loro prodotti ma, soprattutto, le due o tre grandi case editrici di romanzi che, in Italia, si valevano di un monopolio più che trentennale. Oreste Del Buono, direttore di Linus, forse in difesa del fumetto, ebbe a dire che "noi italiani non ci sappiamo fare. È una cosa contraria alla nostra mentalità: per mettere insieme un giallo discreto occorre sempre lavorare, occorre essere buoni artigiani, e qui da noi, invece, si vorrebbe lavorare poco ed essere subito artisti". Il tempo ha continuato a dare ragione a OdiBì, come veniva amichevolmente soprannominato, anche se le sorelle Giussani prima, e Max Bunker poi, seppero dimostrare che gli italiani forse i "gialli" non li sanno fare, ma i "neri" sì. La scritta per adulti non lo differenziava poi molto da quella serie di pubblicazioni velatamente erotiche, e per questo sigillate con una linguetta che incollava la prima all’ultima di copertina (Desideri violenti, La città delle donne perdute, solo per citare alcuni titoli), sfornate in grande quantità dall’editore Gino Sansoni (marito di Angela Giussani) per la CEA (Casa Editrice Astoria). "Diabolik era il primo fumetto per adulti; non perché fosse una lettura vietata ai bambini, censurabile, ma perché non venisse esposto in edicola insieme a Topolino e Paperino, ma nel settore libri". Autrice del nuovo fumetto è appunto la milanese Angela Giussani, che chiamerà a sé la sorella Luciana formando una coppia affiatata a cui non si può certo negare uno spiccato spirito d’iniziativa, avendo creato nel 1960 una propria casa editrice, indipendente dalla Astoria, dove lavoravano entrambe, e chiamata modestamente Astorina. Le più fortunate pubblicazioni dell’Astorina, prima della nascita del "re del terrore", furono una serie di buste a sorpresa contenenti, tra l’altro, delle simpatiche figurine metalliche a forma tonda prevalentemente di taglio sportivo, e una serie di giochi in busta chiusa (Il gioco del calcio e Il gioco del Far West). La propaganda, effettuata attraverso le scuole di varie città, permise loro di contattare di persona i possibili acquirenti e di saggiare i gusti e le richieste. Trovando il pubblico dei ragazzi particolarmente disponibile, tentarono quindi l’edizione di un periodico, e la scelta cadde sullo statunitense Big Ben Bolt, il pugile detective di John Cullen ed Elliot Caplin. "Avevano comperato un fumetto americano che si chiamava Big Ben Bolt, ambientato nel mondo della boxe; negli Stati Uniti aveva avuto un enorme successo, in Italia invece la boxe non era così mitizzata e quindi il fumetto non interessava a nessuno". E Luciana Giussani ricorda: "Big Ben Bolt, il personaggio dei fumetti americani che io pubblicavo in Italia prima di Diabolik, era un superuomo buono. Un pugile stupidotto che elargiva beneficenza a tutti mettendo i propri pugni a servizio della società. Un fallimento. Mi è morto tra le mani". Anche l’accoglienza di Diabolik da parte del pubblico fu alquanto deludente: l’eroe in nero non stupisce i lettori più di tanto e, agli occhi della stampa, il nuovo personaggio passa inosservato. Ricorda Luciana: "Per un anno ho battuto le edicole per convincere gli edicolanti ad esporre Diabolik. Attaccavo le locandine e regalavo loro fiaschi di vino". I primi numeri registrarono una vendita disastrosa fino al luglio 1963 (Terrore sul mare), quando cominciò un incremento crescente che, con il boom del 1964, raggiunse i massimi vertici di diffusione per un tascabile. Diabolik assume caratteristiche nuove per il nostro pubblico: infatti viene ufficialmente presentato come fumetto per adulti, in contrasto con la tradizione del nostro paese che fino ad allora aveva visto la produzione dei comics come specifica ed esclusiva di un pubblico infantile. In realtà un tale fumetto viene subito assorbito con grande successo da un pubblico maturo e la dicitura per adulti non fa altro che conferirgli il fascino di un’esperienza precoce e proibita. Nuova è per tale tipo di fumetti anche la veste editoriale: periodici, mensili e quattordicinali, formato tascabile. Ma soprattutto nuovi sono i contenuti ed in particolare lo stile grafico, il linguaggio iconico che si introducono. Si parla così della "nuova linea del fumetto italiano" (Archivio italiano della stampa a fumetti, 1969). Per la prima volta nella storia del fumetto italiano assistiamo ad un rovesciamento delle parti: l’eroe non è più il poliziotto, bensì il delinquente; è questo il passaggio fondamentale dal "giallo" tradizionale al nuovo "fumetto nero" italiano, e Diabolik rappresenta l’inizio di un’inversione di parti che rimarrà poi acquisita. Non bisogna però trascurare il fatto che fin dalle origini del fumetto la violenza contrassegna le storie di molti personaggi: la stessa tecnica nuova delle parole che escono dalle bocche è aggressiva, il disegno non vuol più essere semplicemente guardato, ma assale lo spettatore saltandogli quasi addosso. Le mezze tinte, i colori pastello non esistono; i fumetti si esprimono con segni netti, tracciati duramente. Aggressivi sono stati tutti i grandi eroi, da Flash Gordon, pupazzo d’acciaio, a Mandrake, sospeso in un’aria da baraccone; dal tozzo Superman, marine che vola, e incarna la liberazione dalle umiliazioni quotidiane dell’americano medio, a Batman, avvolto in puerili simboli di potenza. Sono tutti personaggi rapidi ad attaccare, sopraffare, uccidere; riscattati però (per soddisfare le famiglie, le chiese, i magistrati) dai loro fini umanistici e dal fatto che per una convenzione molto superficiale, loro sono buoni e gli altri sono cattivi, ma non si sa bene chi abbia assegnato i ruoli. Le loro avventure non sono che il moltiplicarsi di tre o quattro storie archetipe, dimostrazioni d’uno stesso teorema nel quale il cattivo, nemico dell’umanità, è sconfitto, e la legge geometrica è confermata. Ignare di leggi geometriche, le sorelle Giussani si sono buttate a capofitto nel cosiddetto nuovo fumetto italiano. Se Superman decidesse di fare colpi in proprio, non somiglierebbe a Diabolik. A differenza dei supereroi di origine statunitense, che combattono in nome della società per difenderla dai cattivi di turno, Diabolik lotta solo per se stesso, unicamente per il proprio tornaconto personale; e alla forza sovrumana di Superman ha sostituito un’italianissima astuzia. Diabolik non ricorre alla mera forza fisica per risolvere a suo favore i frangenti della vita operativa, ma ricorre con assiduità a marchingegni sofisticati e psicologicamente riuscitissimi, prevede le mosse altrui e le anticipa, o sorprende l’avversario. La novità si affaccia fin da pagina 10 del primo numero, quando appare la marchesa Eleonora Semily riversa sul letto con un pugnale nella schiena. Questo pugnale è il "la" di tutto il concerto che sta per cominciare. Angela Giussani racconta:

Mi sono chiesta cosa mai facessero in treno questi operai, ogni mattina per un’ora o due. Non si annoiavano? Non si addormentavano? Possibile che avessero già voglia di leggere il giornale, così grigio? Potrebbero leggere i gialli, mi sono detta, e tenersi svegli. Ma i gialli sono troppo lunghi, per un viaggio relativamente corto. Gialli brevi, quindi. Che si leggono facilmente. A fumetti. Volevo fare dei libri gialli che potessero essere letti anche da chi sa leggere appena.

Gli operai che indirettamente hanno suggerito il personaggio continuarono a sentire le palpebre di piombo sui treni pendolari. Diabolik non è diventato un loro bene di consumo.     È balzato ad un pubblico molto più vasto. Il mercato che la signora Giussani aveva temuto di dover limitare alla sola Milano si è esteso a tutta l’Italia e soprattutto a tutti i ceti.             "Diabolik non è osceno o violento: è un comune libro giallo fatto a fumetti per renderlo di lettura più facile. Tanto è vero che lo comprano fior di avvocati e professionisti, e le ragazze ci scrivono per saperne di più sugli abiti indossati dalle protagoniste".

Il signore (non più agile, mezza età, valigia rigida, che custodisce le carte degli affari), in sosta davanti all’edicola con il rotocalco in mano conclude la ricerca afferrando, distratto, due o tre storie disegnate. "Questo per il mio bambino". Il signore è un bugiardo. Un po’ si vergogna. Gli album sono per lui. Per lui quando in TV c’è la commedia che annoia. Per lui nei minuti che spengono nel sonno le nevrosi di un giorno di fatica. L’adulto è il cliente d’oro dell’industria dei comics. È il cliente del futuro.

E le cifre confermano questo successo allargato a tutte le fasce d’età e a tutte le classi sociali. Nel 1966 Diabolik raggiunge la tiratura di 300.000 copie, contro le 80.000 di Linus e superato soltanto dalle 400.000 di Tex e dalle 350.000 del Monello e dell’Intrepido.

Era inevitabile che avessero successo: fanno leva sullo spirito di rivalsa delle esistenze incolori, sono il relax e il sogno proibito di chi non ha l’abitudine di sciogliere dallo psichiatra i propri garbugli psichici. Transfert della noia giornaliera, ma anche modelli di vita in mancanza di altri thrillings, esempi vagheggiati sul filo di avventure e vendette irrealizzabili. Sfogo infine. Diabolik e soci possiedono le doti che i loro lettori non hanno ma che bramano: intelligenza sovrumana, superpoteri psichici, coraggio da vendere, fascino.