LA DEGENERAZIONE DEL “FUMETTO
NERO”
3.1 Il Fumetto Erotico.
Il fumetto è per tradizione un luogo maschilista, dove alle donne tocca una parte marginale: sono fidanzate da salvare, o mogli troppo assillanti da sopportare, o prosperose vamp da sognare. Raramente gli autori hanno pensato di assegnare loro delle avventure da sostenere, libere e indipendenti dal sesso forte. E, quando lo si è fatto, si è incorso in storiche eccezioni. Fin dagli anni Trenta vanno di moda le ragazze dotate di sex-appeal, spregiudicate anche se conformiste, tipo Betty Boop, creata nel 1931 dal disegnatore Max Fleischer. Essa rappresenta la caricatura delle dive erotiche del cinema hollywoodiano dell’epoca, dive che soddisfacevano gli appetiti sessuali della massa, occhieggiando con maliziosa innocenza e ancheggiando con allusiva impudicizia. Un anno dopo, in Inghilterra, Norman Pett iniziava un fumetto in bilico tra il romanzetto rosa, l’intrigo avventuroso e la commedia brillante. Protagonista era Jane, un’audace e disinvolta pin-up, sempre disposta a mostrare la propria biancheria intima, madrina del fumetto erotico che avrebbe avuto più tardi, sia in Italia sia in Francia, validi epigoni.
Jane è la prima eroina veramente adulta mai apparsa sui quotidiani. Non solo. Tra un flirt e l'altro, tra una sfilata di moda e un viaggio in giro per il mondo, le sue storie giallo-rosa si snodavano in chiave vagamente "pruriginosa" e ogni occasione era buona per presentare ogni tre o quattro strisce la bella Jane mentre cercava disperatamente di coprirsi.
Dall’altra parte dell’oceano c’era invece la bionda Blondie, moglie efficientissima ed emancipata ma allo stesso tempo vittima delle mode. Blondie fu un vero fenomeno di massa presso le ragazze statunitensi e, fra il 1938 e il 1950, fu protagonista di ben ventotto film. L’America offrì anche Flash Gordon, dove per la prima volta si trovavano richiami di carica erotica, specie nelle fascinose donne seminude che circondavano l’eroe, ma gli italiani, nonostante le vicende gordoniane fossero pubblicate sull’Avventuroso dell’editore Nerbini, queste donnine discinte non le videro mai.
Laddove Raymond aveva suggerito corpi seminudi, con torsi torniti, le mammelle ricoperte da coppette non dissimili da quelle usate per le ballerine d’avanspettacolo, premurosi pennini si preoccuparono di occultare, cancellare fianchi sinuosi e carni troppo salde.
Se nel fumetto originale di Gordon gambe e bacini erano scoperti, in quello filtrato attraverso la grossolanità italiota del fascismo, essi furono occultati probabilmente perché presentavano un tipo di femminilità pericolosa, ben diversa da quella familiare, rappresentata da certe floride matrone italiane. Angelo alla quale affidare un quieto focolare, la donna del fumetto del periodo fascista (essenzialmente fumetto di guerra), deve essere coraggiosa ed avere la volontà di sacrificarsi in ogni occasione per il bene supremo della patria. Nel 1923 il governo fascista concesse il voto amministrativo ad una fascia ristretta di donne (le diplomate e le professioniste), una sorta di voto premio, una delle tante trovate demagogiche; nel 1925 il diritto al voto sarà tolto anche agli uomini. Nel 1938 Mussolini cominciò a fare largo uso dei mezzi di comunicazione di massa. Sempre nello stesso anno, Loffredo affermava che la donna doveva tornare alla sudditanza del marito, perché inferiore spiritualmente, culturalmente ed economicamente. Fu così che si cercò di ridurre il lavoro femminile e si impedì alla donna di studiare; infine Pio XI ribadì che il lavoro extra-domestico costituiva un pericolo sessuale. Tutti questi messaggi furono trasmessi soprattutto attraverso il fumetto del ventennio, dove la figura femminile assunse quindi una collocazione nettamente subalterna. Rispetto alle colleghe d’oltreoceano, occupa una posizione più modesta e di minor spazio, forse anche a causa della mancata erotizzazione e, infatti, solo a poche femmine perdute, maliarde fascinose quasi sempre straniere e nemiche del fascio, è permessa qualche scollatura e un atteggiamento più osé. Le buone italiane invece ricoprono tutte il ruolo di brave "sorelle d’Italia" o "mamme d’Italia" sul tipo delle matriarche caserecce, aperte al mondo solo attraverso gli occhi del marito, del fratello o del figlio. Bisogna aspettare la fine del regime fascista per vedere una donna a fumetti degna di avere una testata a lei dedicata. Toccò a Pantera Bionda, comparsa nel 1947, eroina vestita assai succintamente e impegnata nella lotta al crimine, nelle foreste del Borneo e nelle isole dell'arcipelago della Sonda. Nonostante l’unica cosa osé di questo fumetto fossero gli abiti della protagonista, ebbe vita difficile con la censura che, in qualche modo, ne decretò pochi anni più tardi la fine: evidentemente non rispondeva ancora allo spirito del tempo. È solo negli anni Sessanta che l’erotismo entra con forza nel mondo dei fumetti, degenerando spesso, specialmente in Italia, in una mercificazione del sesso assorbita con morbosa avidità da fruitori eterogenei sotto il profilo sociologico, ma accomunati da una continua ricerca di evasione in un mondo artificiale e illusorio capace forse di soddisfare i loro desideri inconfessati, ma non certo di stimolare le loro facoltà critiche e sociali. Il benessere economico di questi anni è accompagnato da un’ondata di liberazione del sesso, sorta dai relitti dei vecchi condizionamenti e inibizioni, tessuti intorno alla realtà sessuale dal cattolicesimo e dalla società borghese, e che venivano ora drasticamente soppiantati dai modelli nuovi di comportamento confezionati dall’universo dei media. Si vive ormai in un ambiente erotizzato artificialmente dalla pubblicità, dal cinema, dai fumetti; questo bombardamento non può non esercitare un "malefico" influsso e mettere in crisi il sistema emotivo-sessuale di ciascuno, autorizzato a concepire ormai il sesso come un bene voluttuario da consumare rapidamente. La storia dei fumetti mostra una galleria di personaggi femminili improntati ai diversi stereotipi conformi ad una società attraversata da fermenti e lotte condotte per l’emancipazione femminile, non sempre però fedelmente riportate sulle strisce. Queste nuove eroine, non si accontentano più di una emancipazione formale e rivendicano la propria "liberazione" dai tabù sessuali. Verso la fine degli anni Sessanta nasceranno accanto ai movimenti di liberazione della donna, anche le donnine di carta agguerrite e pronte a schiavizzare l’uomo; splendide e feroci, esprimeranno in realtà non tanto l’immagine reale in evoluzione della donna odierna, quanto la rappresentazione profonda che si ha della sua mutazione, sentita dai lettori e dai disegnatori come una paurosa minaccia esistenziale. Il desiderio di emancipazione e uguaglianza pertanto viene distorto da queste eroine le quali, caratterizzate da una aggressività e da una sessualità nevrotica ed esasperata, estranea ai canoni di femminilità, ritornano ad essere oggetti sessuali concepiti per la saturazione visiva dei lettori e ancora una volta usate come punto terminale di scarico delle tensioni accumulate. È da osservare, però, che nei primi fumetti non sempre l’erotismo crea un genere autonomo, poiché il più delle volte è utilizzato come piccante condimento delle storie di fantascienza, spionaggio, avventura. Barbarella e i personaggi che seguono ne forniscono un lampante esempio. Nel 1962, in Francia, Jean-Claude Forest dà vita con un certo gusto ed un sufficiente spirito sarcastico al personaggio appunto di Barbarella, eroina fantascientifica, indipendente e disinibita. Il suo corpo flessuoso, i lunghi capelli biondi, le labbra carnose ricordano indubbiamente Brigitte Bardot, il maggior simbolo sessuale di quegli anni. Le sue avventure sono proiettate nell’anno 40.000 e consentono a questa esploratrice spaziale di fare esperienze emozionanti. Nelle barocche città del cosmo, create dalla fantasia di Forest, Barbarella è sempre pronta a dare una mano a chi si trova in difficoltà, eliminando feroci criminali galattici, mostri orribili, tiranni sanguinari. Libera e spregiudicata, inaugura la moda della donna protagonista assoluta, mettendo in secondo piano il maschio forte e atletico. Incentrare una storia di fantascienza su una disinvolta fanciulla dal corpo incendiario, costantemente seminuda, mozzò il fiato a schiere di lettori, rivelandosi un colossale successo. È soprattutto la sua libertà sessuale infatti a farla diventare un fumetto di culto fino a tutti gli anni Settanta: Barbarella si accoppia con chi le va a genio e quando ne ha voglia, utilizzando, a volte, il proprio corpo come un’arma di attacco e di difesa. La sua spregiudicatezza le consente di non disdegnare alcun tipo di partner: entra nelle alcove di angeli alati e di diavoli senza corna; sperimenta "macchine di piacere" e non indietreggia neanche davanti a metallici automi molto efficienti e compiti. A lei si ispirò, nel 1967, anche un celebre film di Roger Vadim con Jane Fonda. Sembrava straordinaria l’idea di far incontrare il padre dell’erotismo cinematografico francese con l’amazzone della bande dessinée. Fu coniato allora un incredibile slogan: "Borghesi, venite tranquillamente ad abbruttirvi, Jane Fonda è svergognata al punto giusto", e così Forest si vide affibbiata la nomea di pornografo. Il soggetto del film risultava perlomeno debole: la vicenda narrava di uno scriteriato scienziato, scopritore di un’arma a raggi micidiali, il quale voleva dominare l’universo che veniva salvato dall’intervento della precoce ragazza.
Forse Vadim sperava di ripetere l’abile colpo riuscitogli con Brigitte Bardot anni prima. Aveva infatti lanciato la prima moglie, tramutandola da starletta qualsiasi a diva internazionale, facendosi gioco astutamente della moralità imperante nella seconda metà degli anni Cinquanta. "Piace a troppi" (Et Dieu créa la Femme,1956) ebbe l’onore di una reprimenda da parte di Pio XII sulla prima pagina de L’Osservatore Romano, quando la maliziosa carnalità dell’adolescente Brigitte Bardot, esaltata da un manifesto, dilagò su tutti i muri di Roma. Il cui carattere sacro, secondo il Pontefice, era stato sfidato con troppa disinvoltura. All’epoca, non dimentichiamolo, vigeva ancora la regola che, se apparivano sullo schermo dei cinema parrocchiali scene d’effusioni sentimentali, l’operatore metteva la mano aperta davanti all’obbiettivo per creare ombre e confondere quel che stava succedendo.
Le pressioni censorie del perbenismo nostrano decretarono la normalizzazione del personaggio fino alla sua morte, avvenuta nel 1974. Era logico che un personaggio del genere lasciasse il segno, inaugurando un filone tendente a proliferare in tutto il mondo oltre che nella stessa Francia, dove per distaccarsi dal modello di Forest il fumetto si intellettualizza e ricerca nuovi ambienti. È il caso di Epoxy, una carnosa e fresca ragazza dei nostri tempi che ci introduce nel mondo della mitologia greca con un misterioso e alquanto onirico viaggio all’indietro nel tempo. Nata nel 1967 l’eroina si muove in mezzo a personaggi, usciti dai libri dalle antologie di letteratura epica: Ercole, Teseo, Poseidone, Afrodite, Cerbero, ninfe, fauni e amazzoni, che per ragioni erotico-estetiche hanno ambedue le mammelle e non una sola come vorrebbe la tradizione. A parte il tratto grafico molto piacevole, queste storie sono tutte basate sull’esaltazione dell’erotismo e del nudo secondo una concezione ossessiva dell’amore carnale in tutte le sue variazioni. Un prodotto più sofisticato è Jodelle (1966) opera del disegnatore belga Gui Pellaert su soggetto di Pierre Bertier. Sotto l’influsso della pop-art l’autore crea un piccolo capolavoro erotico ambientato in una Roma imperiale che, grazie a una deformazione satirica, ricorda la Parigi di De Gaulle e la New York di Johnson.
Nella reggia imperiale Augusto, un uomo debole raffigurato in maglietta e bermuda, è circondato da efebi e da stupende ragazze in minigonna disponibili per orgiastici baccanali, mentre sulle strade si possono vedere moderne Cadillac trainate da cavalli e insegne al neon che propagandano spettacoli di "streeptese" e "stragi di cristiani". Siamo in pieno clima di fantapolitica, dato che l’azione è incentrata su di una lussuriosa e sadica Proconsolessa che cospira per abbattere Augusto, mentre le sue trame sono sventate da un corpo di agenti segreti, formato da bellissime ragazze guidate da una mascolina Capospia, a cui appartiene anche la giunonica Jodelle.
Nel 1968 ancora Pelleart, su soggetto di Pascal Thomas, crea Pravda, un’eroina antiromantica e sessualmente indipendente, protagonista di un fumetto iconoclasta dove viene attaccata la società dei costumi dell’epoca. Ma il massimo prodotto della rarefazione intellettuale è Saga de Xam del disegnatore franco-vietnamita Nicolas Devil. Questa splendida fanciulla dalla pelle azzurra proviene da un mondo extraterrestre (Xam) popolato da sole donne, minacciate da un popolo di maschi provenienti da un altro pianeta. Giunta sulla terra, Saga vive numerose avventure, conoscendo sia l’erotismo sfrenato e l’amore omosessuale, sia l’esperienza alienante dell’LSD. Simbolo della saggezza, dell’intelligenza, dell’amore, questa eroina non sa cosa siano l’impurità, il male, la violenza, ma finisce per esserne contagiata. Quello di Devil è un fumetto pacifista che attacca la violenza strisciante nel mondo e l’infatuazione tecnologica al servizio dei gruppi dominanti. Questi personaggi cercarono di operare una rivoluzione all’interno del fumetto erotico, allontanandolo dal genere tradizionalmente popolare e creando prodotti per un pubblico di iniziati. Dalla Francia il fumetto erotico rimbalza negli Stati Uniti dove nasce Phoebe Zeit Geist, creata nel 1966 da Springer e O’Donoghen. Si tratta di una bella ragazza che viene drogata ad Anversa e si risveglia nella Valle della Morte in California nelle mani di un sadico pazzo in divisa nazista che si diverte a torturarla. Già prima, nel 1962, era nata sulla rivista Playboy Little Annie Fanny, che riecheggia nel nome la celebre orfanella di Harold Gray, mentre l’ipertrofico seno mozzafiato ricorda quello di Marilyn Monroe. Le sue avventure, dove l’erotismo è sorretto da un certo gusto e da una buona dose di ironia, sono ambientate di preferenza nel mondo dello spettacolo, e diventano spesso il pretesto per mettere in risalto alcuni punti deboli della società americana. Il successo di questo genere di fumetti si misura con il fatto che se ne riscontra la presenza anche nel Terzo Mondo e nell’Unione Sovietica.
Intorno al 1966 appare clandestinamente in Unione Sovietica Octobriana, una goffa ragazzona dal seno enorme, dagli occhi crudeli, dai lunghi capelli biondi e con una stella rossa dipinta in fronte. Questa eroina che porta stivali a spillo e una cintura abbondantemente fornita di pistole, pugnali e fruste, è arrivata di soppiatto a Londra nel 1971, grazie ad un giovane profugo cecoslovacco, Peter Sadecky, il quale ha rivelato che essa è nata ad opera di un gruppo fortemente antistalinista che ai tempi di Kruscev si chiamava PP (Politica Progressista), ma che in seguito ha aggiunto un’altra P ed è diventato "Politica Progressista Pornografica", in quanto considera l’erotismo come l’unica forma di protesta possibile contro l’ortodossia comunista.
Era quindi logico che anche in Italia si verificasse un’affermazione del genere, anche se presto ci si indirizzerà verso la produzione di fumetti pornografici in nome di una rivolta degli istinti morbosamente irresponsabile e mistificatoria, basata sulla visualizzazione di sogni e incubi maschili un tempo considerati inconfessabili. L’unico prodotto nobile in questo campo è Valentina, raffinata fotografa milanese e figlia nevrotica del nostro tempo. Alle origini, comparsa nel 1965 su Linus dalle matite di Guido Crepax, è ancora la semplice comprimaria in un fumetto di fantascienza assai improbabile, il cui protagonista è il critico d’arte Philip Rembrandt alias Neutron. Successivamente Valentina acquisterà sempre più spessore fino a diventare il simbolo di un fumetto colto che occhieggia favorevolmente al mondo della psicoanalisi. L’eroina viene assunta a simbolo raffinato di un gusto che, attraverso i giochi estetizzanti del disegno, il libero sfogo della fantasia e una certa dose di ironia, riscatta quel tanto di violenza, di sadismo, e di voyeurismo contenuti in queste storie. I racconti di Crepax si muovono su tre diversi piani narrativi – quello della realtà, del sogno e del ricordo – spesso tra loro intersecati, per cui a storie di netta impostazione gialla, si alternano storie fantastiche. C’è poi il momento degli incubi e delle allucinazioni che tormentano e attraggono nello stesso tempo la nevrotica Valentina; si tratta di sogni sadomasochistici con una notevole componente erotica, durante i quali l’eroina deve sottostare ai giochi morbosi di biechi ufficiali nazisti, signorotti barocchi, scheletrici cavalieri in divisa da ussari che la denudano, la palpano, la legano, la frustano, la sottopongono a raffinate torture. Inutile aggiungere che Valentina fa dell’indipendenza politica e sessuale il proprio vessillo, e il suo successo decreta l’ascesa del suo creatore, Crepax, nell’olimpo dei grandi artisti del fumetto mondiale. Accusato di essere un fumetto frivolo e disimpegnato, un prodotto consumistico per élite, Crepax ribatte affermando che il suo disegno è così raffinato perché ciò lo diverte, che per lui la politica è un fatto importante e che Valentina professa la nonviolenza, essendo le scene di crudeltà e di violenza relegate al sogno. E come fa notare il professore Quintavalle, docente dell’Università di Parma, Valentina
è solo parzialmente legata al mondo dei fumetti erotici, è piuttosto un fantaracconto che si propone come un discorso simbolico sulla società borghese di cui Valentina è appunto un modello (indipendenza, aggressività, viaggi, avventure, parties, ect.), società soprattutto milanese, mettendo nello stesso tempo in evidenza un minimo impegno di sinistra e un senso dell’angoscia del profondo che è una delle caratteristiche dell’uomo contemporaneo. Questo la distacca da tutte le eroine tradizionali del fumetto, ma la differenzia anche per tanti versi dalle sue coetanee.