Capitolo 2.


L’EVOLUZIONE DEL “FUMETTO NERO”
Violenza e sadismo.
 
 

l’invasione degli epigoni.
 
 
   

Il successo di questi eroi, i cui albi si potevano facilmente nascondere in tasca o nella cartella a scuola, fu immediato, tanto da stimolare autori ed editori a inondare le edicole con prodotti similari, la maggior parte dei quali di livello decisamente più scadente. Tutta una schiera di eroi negativi cominciò a popolare fittizie città notturne, scivolando nell’ombra armati di coltelli e sadismo. Al Salone Internazionale dei Comics di Lucca, la dottoressa Candida Sabatini ha svolto una chiara relazione sul tema, spiegando che questi personaggi deteriori sono stati ideati da editori senza scrupoli, che hanno inteso far leva sulle tendenze primordiali dell’uomo. Si tratta di personaggi poco approfonditi, paladini di un’etica personale gratuita, circondati da donne sistematicamente perverse, personaggi avulsi dalla realtà, protagonisti di situazioni stereotipate ed elementari, ben lontane dalla complessa e sfumata drammaticità della vita.

Dopo pochi anni sono apparsi i western all’italiana, pervasi anch’essi di sadica violenza, le riviste sexy, i libri pocket con argomenti sado-masochistici, tutti aspetti di uno stesso fenomeno che ha radici nel grado attuale di sviluppo economico della nostra società, nei suoi ritardi a livello dell’istruzione, nel permanere di tabù e di pregiudizi riguardo a certi argomenti.
I protagonisti delle storie sono criminali di professione, stupratori di fanciulle, espertissimi torturatori dallo stile grossolano, sadiche e drogate ninfomani, eroi sempre vittoriosi e felici, superuomini carnefici di una umanità debole e sgangherata. Le loro azioni non si rifanno ad alcun parametro sociale, sono giustificate solo da una volontà superiore, creatrice di leggi personali. Si costituisce, così, l’idea che il protagonista può avere tutti i crismi della cattiveria, del nichilismo reazionario, senza essere per questo meno eroe, anzi più prevalgono queste caratteristiche, più è un eroe. Il merito dell’immediata attrazione va dato alle copertine degli albi, tutte plastificate e in quadricromia: la K fa sempre spicco, in fondo o all’inizio del nome dell’eroe; lettera minacciosa, teutonica, misteriosa, simbolo enigmatico.
Ogni settimana in Italia circa duecentocinquanta persone vengono variamente assassinate: di coltello, di corda, di pallottola. Di fuoco e d’acqua; quando si tratti di donne (il che accade piuttosto spesso) la morte viene somministrata preferibilmente a mani nude, o con calze di seta intorno alla gola, sempre in un momento che veda la vittima in abiti succinti, meglio se su di un letto – e possibilmente – nel bel pieno del trasporto amoroso.
Questi fumetti erano gli eredi di due grandi filoni romantici: quello decadente Swinburne-D’Aurevilly-Gautier, che assicura l’identità fra delitto e voluttà, amore e crimine, e quello Nietzsche-D’Annunzio-Barrès, che esalta il superuomo; il tutto inquadrato nella civiltà dei costumi, trasportato cioè al livello dell’uomo di massa. Sia pure grossolanamente, tra queste pagine si ritrova ciò che in un paio di secoli di sensibilità romantica è stato immaginato e proposto. "La voluttà unica e suprema dell’amore sta nella certezza di fare il male", scriveva Baudelaire; "ma dimmi, non hai mai pensato nell’atto d’amore a compiere un bel crimine?", chiedeva eccitata un eroina di Mirbeau all’amante; "ho perduto del tutto la nozione del bene e del male; assisterei freddamente alle scene più atroci, c’è nelle sofferenze e nelle sventure dell’umanità qualcosa che non mi dispiace", diceva un personaggio di Gautier. Questa identificazione fra amore e delitto, fra sesso e crimine, ha naturalmente origini molto antiche, riprendendo in parte tutta la sessuofobia cristiana. Questi fumetti esercitano un’azione ambigua: da un lato soddisfano apparentemente la fame di sesso di gente repressa, frustrata, inibita; dall’altro la esasperano ribadendo il tabù, continuando a insistere che il piacere è il male, la donna il demonio, il corpo il peccato. Solo il grande criminale può avere la forza di porsi al di là di questi confini. E quello del grande criminale è infatti l’altro filone, che continuamente si fonde col primo. Questi eroi in calzamaglia nera sono gli eredi di tutta una tradizione e degenerazione che dall’eroe byroniano, attraverso Rocambole, è arrivata alle SS del Reich trimillenario. Bisogna sottolineare che mentre il fumetto tradizionale veniva ormai prodotto secondo criteri di notevole efficienza tecnica e industriale (tra le poche ditte dominatrici c’erano la Mondadori e la Rizzoli), le nuove storie si affermano attraverso un pullulare di piccole iniziative artigianali, editori spesso improvvisati, magari semplici tipografi che avevano ingaggiato un disegnatore dilettante. Il fenomeno avvenne insomma all’insegna della spontaneità: ciò conferma che esso rispose a una reale attesa, interpretando un vasto rivolgimento del gusto, della sensibilità, del costume. La terza casa editrice, dopo l’Astorina e la Corno, che pubblicò "fumetti neri" fu la romana Cofedit, che si presentò nelle edicole con Fantax e Demoniak. Nel luglio del 1964, pochi giorni dopo l’uscita di Kriminal, comparve Fantax, anch’egli ricoperto da una calzamaglia aderente raffigurante uno scheletro. Secondo la descrizione dell’autore, "è un detective privato, stimato e apprezzato dalla stessa polizia, che si batte in nome della giustizia, ma è anche un uomo spietato e avido, sfrenato e crudele, John Marquall con la legge, Fantax contro la legge". Anche in questa sede venne molto sviluppata la componente sexy, le donne si spogliano assai facilmente, i toni si fanno più cupi, il sadismo serpeggia. In una tipica scena del fumetto, una bruna formosa, mollemente sdraiata sul letto, completamente nuda, sussurra fremente: "Se ami come uccidi sei certo un amante superbo!". L’atto sessuale diventa così pura violenza, senza alcuna attenuante. Se poi questa violenza è ai confini dell’anormalità, tanto meglio: una donna che ne fustiga un’altra sembra il massimo dello sforzo creativo. In queste fasi culminanti del racconto il disegnatore produce il massimo sforzo. Qui, infatti, l’albo ha il suo punto di forza e gioca alla conquista di nuovi lettori. La grossolanità e l’approssimazione dell’immagine si riducono di quanto è possibile. Scritto e disegnato da Vittorio Corte e dal suo studio, fu poi illustrato da Corcas e Mangirano. Dopo diciassette numeri, gli editori furono costretti a cambiare la testata in "Fantasm"; infatti il nome "Fantax" era già registrato in Francia da Mouchott che aveva ideato il personaggio, con diverse caratteristiche, nel 1947. Anche la casa editrice cambiò nome, che si trasformò in A.P.E. (Edizioni Attualità Periodici). Demoniak,"l’essere ai confini dell’umano", si distinse dai suoi predecessori per i suoi sviluppati poteri sensoriali: sprizzava cervello da tutte le parti, specie sulla tuta. Illustrato da Franco Verola, anche lui in calzamaglia nera, era quello che si avvicinava di più a Diabolik per l’aspetto somatico. Ma la creazione più felice della Cofedit fu senz’altro Alika, il cui primo numero apparve nelle edicole nel luglio del 1965. Il suo lancio pubblicitario recitava: "Se Barbarella è l’infedele dello spazio, Alika ha licenza di amare". Eroina spaziale, fra le tante sul modello appunto della francese Barbarella, fu affidata al disegno di Umberto Sammarini che trasformò l’albo in una gustosa passeggiata di satira politico-sociale dove, a fianco dei protagonisti, si trovavano sballottati nelle più strane situazioni i ministri di allora, da Moro a Fanfani. L’esperimento, raro se non unico nel nostro fumetto, durò appena dodici numeri. Simpaticissima la figura del robot-paggio Absur e quella dell’anziano inventore, che accompagna l’eroina in tutte le avventure. Il 1965 fu certamente uno degli anni più prolifici per il fumetto per adulti. Le Edizioni Cervinia si presentarono sul mercato già dal dicembre del 1964 con un ennesimo mascherato, Mister X, disegnato da Giancarlo Tenenti. Anche questo eroe utilizzava maschere deformabili come Diabolik e come lui aveva una spiccata tendenza verso il furto. Come Diabolik lottava contro Ginko e Kriminal contro Milton, Mister X è alle prese con l’ispettore Roux, dotato di baffetti alla francese. Le avventure del nostro eroe durarono per circa cinquanta numeri e vennero successivamente ristampate dalle Edizioni Alhambra. Dal marzo 1965, apparve il personaggio certamente più interessante: si tratta di Spettrus, realizzato da Nolita. Trentun albi contengono le avventure di questo eroe; l’ultimo fascicolo è datato 30 settembre 1966. Ecco la presentazione del personaggio fatta dall’editore:
Marcus Emerson, il grande scienziato, colui che da tutti è considerato il Genio dell’epoca moderna, sta tentando di scoprire il segreto dell’immortalità. Egli costruisce una apparecchiatura elettronica che permette alle cellule del cervello, di sopravvivere per qualche tempo anche dopo la morte del corpo e la sperimenta su di sé. Ma la incalcolabile potenza delle radiazioni lo uccide. Soltanto il corpo muore, mentre la mente di Marcus Emerson vive, è soltanto la mente di un folle assetato di sangue, un mostro avido di terrore e di paura, una forza del Male.
Le Edizioni Meroni si presentarono anche loro con un ladro gentiluomo, Rocambol, reso graficamente da Saverio Micheloni. Unico dato da segnalare è il repentino mutamento dell’eroe da negativo in positivo, come nel feuilleton di Ponson du Terrail, da cui trasse il nome. La pubblicazione iniziata nel marzo 1965 terminò all’ottavo numero, nell’ottobre dello stesso anno. Ugo Dal Buono, editore romano, si presentò con l’ennesimo Diabolik rivisto e corretto, con accentuata la componente sadica. Il nome gli calzava a pennello: Sadik. Il personaggio incontrò subito un lusinghiero successo, sia per le trame abbastanza sciolte di Nino Cannata, sia per i buoni disegni di Gian.
Il creatore di Sadik, l’ultimo nato della genia, è il giovane redattore di un castissimo, antico e patriottico giornale per ragazzi. Non solo nutre il convincimento che l’era del personaggio positivo sia tramontata, ma s’è costruito una teoria per il netto ripudio delle vie mediane. "Ogni anima infantile", dice, "indipendentemente dall’età reale non ama le sfumature. Per bene intende il bene assoluto: lo stesso per il male. Un mezzo buono o un mezzo cattivo sono soltanto pasticci. È assodato che il bene non rende più, nei fumetti. In ognuno di noi c’è un piccolo Sadik".
Ma come fare a scoprirlo? Per i più curiosi è stato pubblicato il quiz rivelatore Siete sadici? Per scoprirlo basta rispondere a qualche semplice domanda:

"1) Siete al volante di una vettura di notte. Una lepre vi attraversa la strada. Deviate o la investite? (segnate un punto se deviate e due se la investite) 4) Una formica vi cammina sulla mano. La scrollate oppure la schiacciate? 13) una magnifica ragazza sta per essere inghiottita dalle sabbie mobili. C’è molta gente intorno. Tentate di salvarla? 19) preferite visitare un museo o un ospedale?".

Alla fine basta tirare le somme. Se si ha totalizzato solo ventun punti, vuol dire che "siete sensibili come un musicista, pieni di comprensione verso gli altri, emozionabili e particolarmente buoni". Se si raggiungono i quarantacinque invece "lasciatevelo dire: al vostro confronto Sadik è un fanciullo!". In tuta nera, come Diabolik, ma assai più rozzo, più stupido, più inverosimile, Sadik sembra volersi imporre attraverso le atrocità. Ladro accanito, ha anche un altro hobby: torturare e far morire tra atroci e inutili tormenti non solo nemici, poliziotti, o gente che ostacoli le sue imprese, ma anche qualunque malcapitato che si trovi sulla sua strada. L’efferatezza e il vandalismo sono la sua missione. Accanto a sé Sadik ha una fedele amante, Loona, crudele almeno quanto lui: a lei spesso l’uomo lascia "gli ultimi divertimenti" con le vittime. Ecco infatti come si apre il primo episodio della serie:

Alcuni campi medi e primi piani di una ragazza negra con le mani legate a una sbarra sopra il capo. "Una porta cigola biecamente", ed ecco entrare in scena, a piena pagina, una sinistra e buffa figura. Indossa una tuta nera che sale sino alla testa, lasciando libera solo la parte inferiore del volto; è alto, atletico, ha il mento prominente e una gran bocca storta. Il "signore del delitto", poiché di lui si tratta, comincia l’interrogatorio. La prigioniera resiste, nella ragionevole convinzione che, quando avrà parlato, verrà ammazzata. Il torturatore si spazientisce. "E va bene! L’hai voluto tu, sporca negra!": le strappa la camicetta e comincia a frustarla con gusto. Infine la ragazza parla e l’aguzzino si allontana soddisfatto, assicurandola che no, non la ucciderà. In una sala del castello lo attende una polputa bionda, con la vestaglia debitamente slacciata: gli indumenti intimi sono naturalmente neri. Costei è poco entusiasta dell’idea di risparmiare la prigioniera. Ma riceve una spiegazione molto soddisfacente: "Ho detto solo che non la ucciderò io. Ci penserai tu. So che ti diverte".
L’agente 003 dell’F.B.I., che senza fortuna funge da antagonista di Sadik ha il volto dell’attore francese Eddie Constantine, che nelle simpatie del pubblico era più vivo del Bob Taylor-Diabolik, ma era superato e svilito da Sean Connery. Le compagne degli eroi "neri" erano ancora più anacronistiche. La linea sottile, quasi fanciullesca, in voga negli anni Sessanta, non era mai penetrata nel fumetto. La silhouette delle donnine ripete un cliché tradizionalissimo: le labbra sono quelle di Rita Hayworth, i capelli di Jean Harlow o addirittura di Teda Bara, la prima vamp del cinema muto, con capelli corvini, lisci e compatti, spioventi sulla fronte fino all’orlo delle sopracciglia. Sulle pagine di Sadik, sul retro della copertina, venne aperta anche una posta con i lettori; ecco un esempio di un accanito, ma insoddisfatto fan del fumetto: "Gentile direttore, il vostro fumetto sta diventando sempre più bello e interessante: è il migliore. Però mi sembra che non tenga fede al suo nome. Non potrebbe lei trasformare il personaggio facendolo diventare più sadico?". Ed ecco la virile risposta del direttore che sembra dare avvio al sadismo di massa: "Caro lettore, risponderò immediatamente alle sue richieste. A me sembra che Sadik sia un giovanotto abbastanza sadico, e non c’è avventura che non lo dimostri. Trovo che sia un vero macellaio, ma un macellaio simpatico del tipo, tanto per intenderci di Robin Hood e Zorro". Dopo un iniziale successo, Sadik perse i suoi lettori strada facendo, e fu costretto a chiudere i battenti. Qualche anno dopo la casa editrice Meroni, divenuta intanto Alhambra, ristampò le stesse avventure, cambiando il nome del personaggio in Cobra. Dal 1971, gli albi di Sadik vennero ristampati, per la terza volta, col suo vero nome. Per quanto riguarda le epigoni di Satanik, qualcuna si avvicinava abbastanza all’eroina originale ed era altrettanto bella e spregiudicata nell’usare il proprio corpo per fini criminosi. Un esempio è La Jena, una "femmina diabolica", come recitava la sua pubblicità, che però – e questo era il tocco di classe che mancava quasi a tutte – difettava di personalità, limitandosi a fare la mantide religiosa e a divorare maschi, tenendosi ben lontana dalle ansie e turbamenti di Satanik. Le sue avventure, congegnate secondo la logica a suspense, vertono sempre sullo stesso tema ossessivo: impadronirsi di ogni ricchezza, di ogni gioiello e di ogni maschio, destinato però a morire, al termine di ogni amplesso. Nessuno riesce a resisterle: i suoi occhi hanno il potere di ipnotizzare qualunque essere vivente; ella è inoltre dotata di poteri sovrumani. Invano la polizia la cattura, invano la uccide; ella risorge più che mai assetata di sangue. Sembra personificare i fantasmi arcaici e terrifichi: la Medusa, la Sfinge, la madre divoratrice. Nata nel 1966 dalla Cervinia, si spegne dopo quasi tre anni di pubblicazioni, surclassato da altri fumetti molto più perversi. Ma la vera rivale a fumetti di Marny Bannister fu Zakimort, pubblicata da Gino Sansoni per la Casa Editrice Astoria. Dopo aver pubblicato, nel 1963, i romanzi rosa-sexy della collana Alboromanzo Vamp, Sansoni, imitando la moglie Angela Giussani, si butta nella calca del "fumetto nero". Donnameno complessa e senz’altro più prevedibile, Zakimort è la ricca ereditiera Fedra Garaland, figlia di un famoso gangster ucciso dagli uomini della sua banda. Per vendicare il padre ha assunto il ruolo di giustiziere, trovando la felicità nello sterminare delinquenti; unico neo in tanta gioia è il suo amore impossibile per il tenente di polizia Norton. La doppia identità permette all’eroina di frequentare il mondo borghese e quello della malavita, dove può tranquillamente esercitare il suo hobby con una netta dissociazione tra il bene e il male. Pier Carpi, il suo creatore, la volle con due piedi in una scarpa, ricca ereditiera da una parte e spauracchio della malavita dall’altra. Questa ambiguità risultò assai diversa e tanto più conformista di quella sofferta e lancinante di Satanik. Anche Zakimort viveva uno sdoppiamento psicologico, ma per libera scelta, perché aveva stabilito di scindere i due lati della propria personalità mantenendo incontaminata la parte perbene a scapito di quella deviante. Dove l’altra era travolta nel turbine del destino, questa pianificava, calcolava, prevedeva. Ed è forse per questo che queste signorine omicidi, a differenza di Satanik, non hanno lasciato il segno, non hanno lasciato niente, perché niente avevano dentro, se non la filosofia di un fumetto "usa e getta". Dalle pagine dei fumetti ammiccanti sesso, brivido e mistero, e dalle istantanee un po’ sciatte dei primi fotoromanzi "neri", per adulti, sorrideva una spolverata di stelline in abiti succinti e dai capelli cotonati, destinate in buona parte ad approdare sulle riviste porno, ma che allora si contentavano di brevi apparizioni nei sexy fumetti di serie B. Anche Kriminal, allineandosi con queste pubblicazioni che non rifuggono da un pizzico di erotismo, e specificatamente con quei gialli che tiravano bene sul mercato, grazie alle copertine disegnate da Mario Ferrari, Caria o Caroselli, sfoggia fin dal primo numero le fotografie di qualche ragazza in abiti succinti e in posa moderatamente invitante. Tali invitanti ragazze compaiono solo nei primi sei numeri; l’ultima, del gennaio 1965, pubblicata in appendice all’episodio Morte a domicilio che già ha subito censure nelle tavole a fumetti, presenta a sua volta un accenno di censura. Alcune di queste ragazze, come le sconosciute Nicol Tessier e Maria Pia Conte, avevano addirittura un ufficio stampa che inviava ai lettori una loro foto, previo invio di lire 300, anche in francobolli: ci si poteva scrivere sopra una dedica sfacciata di proprio pugno, o più semplicemente si attaccava all’armadietto di una camerata, dove i fotoromanzi venivano chiamati semplicemente "romanzi".
Certo è che quelle attriccette si aspettavano qualcosa dalla vita: soldi, fama, una pelliccia di visone ed un cummenda o un produttore compiacenti. E forse anche un buon partito, magari un rappresentante dell’alta società o pescato tra i reduci della dolce vita, come il marchese Casati Stampa di Soncino, detto Camillino, aristocratico epulone e famoso allevatore di cavalli da corsa, che la moglie se la scelse bella e spregiudicata come un’eroina dei giornaletti.
In quel caso l’epilogo fu altrettanto "nero": finì con due colpi precisi alla nuca, uno per la moglie Anna e uno per il di lei amante, Massimo Minorenti, studente spiantato e perdigiorno.La Fallarino aveva barato, tradendo la regola fondamentale del loro gioco di coppia: considerare i partner sessuali solo uno strumento indispensabile per placare le voglie della signora ed eccitare lui, voyeur impotente e nascosto pederasta. Lui le trovava i compagni, giovanotti occasionali reclutati tra i garzoni di Trastevere, i bagnini di Ostia, i soldati in libera uscita ben disponibili a quelle inaspettate marchette. Finché, divorato dalla gelosia, il 30 agosto 1970, concretizzò in un’ultima frase sul suo diario un sospetto divenuto certezza: "Forse Anna dato centomila lire a M.". E li ammazzò entrambi, prima di spararsi in bocca.
Il fotoromanzo svolge nella nostra società del consumo una precisa funzione mitica, è la proiezione del livello ego verso il superego, una proiezione che controllatamente avviene nei termini che la borghesia appunto indica: accrescimento di benessere, matrimonio tra uguali, competitività, e poi, a livello affettivo: sentimenti eterni, rapporti paternalistici familiari, concezione servile della donna nell’interno della casa.
Killing era il protagonista del più famoso albo di questo genere. Fotoromanzo formato tascabile, sullo stile del "fumetto nero", il periodico quindicinale compare a Milano, per l’editore Ponzoni, nel marzo del 1966 e dura per un triennio. Il fotoromanzo è un’invenzione italiana, e ha una buona tradizione alle spalle; può fruire delle attrezzature del cinema e delle sue risorse umane. La produzione di un fascicolo costava dai tre ai cinque milioni. Killing, girato a Roma dal regista Rosario Borelli, utilizzava come attori gli interpreti minori degli spot televisivi; e c’era una specie di divertente nemesi nello strazio sadico che sconvolgeva quei volti solitamente sorridenti nell’offrire detersivi e bicchieri di brandy. Alquanto volgare nell’impianto narrativo e nei soggetti usati, indossava anch’egli una calzamaglia con disegnato uno scheletro, ispirata a Kriminal, e si dilettava a torturare le sue vittime che finivano quasi sempre strangolate. Se si trattava di donne, erano sempre abbondantemente discinte e si compiacevano di giacere con il loro torturatore prima di esalare l’ultimo respiro. Le foto, in sostituzione dei disegni, sottolineano la pornografia, rendendo grottesche inquadrature che dovrebbero essere emozionanti e inverosimili le storie. Anche Killing, come Kriminal, aveva una fedele compagna, Dana, ma non si asteneva dal congiungersi con altre donne che cadevano puntualmente in deliquio erotico di fronte al suo costume. Nella "Posta di Killing" del numero 18, Mara F. di Torino consiglia: "…potresti conservare in vita le tue vittime per usarle come cavie di nuove torture, o ucciderle in modo più soddisfacente, strangolandole lentamente, bruciandone il cuore con un ferro rovente". Invece Pietro C. di Savona si rivolge a Dana, informandola di aver fondato un club in suo onore, e spiega: "…la donna deve essere crudele e conquistatrice, deve dominare e schiacciare sotto i piedi i propri avversari. Però piace se uccide e tortura con le proprie mani, non se fa uso di armi o veleni". Riassumendo, con le parole di Spinazzola,
il prodotto è scadente, specie nel disegno: figure rozze, predominio delle scene d’insieme, scarsa capacità di gioco sui particolari, scarso ricorso all’allusione, al discorso indiretto, all’ellisse. Tutto si risolve in una inabile scopiazzatura dei fumetti gangsteristici americani, dai quali viene ripreso anche il taglio secco e veloce, che qui diventa volgare, del dialogato.