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Beh, se volete andare in Senegal, cercate di farvi ospitare da qualche famiglia, anche se non la conoscete, ma vi ci manda un amico. Per questa sarà veramente un piacere e la cosa più naturale di questo mondo. Basta sdebitarsi con dei regali, o anche con dei soldi. Regalare soldi, anche se ad alcuni, a me per prima, non sembra bello, è molto comune in Senegal, persino ai matrimoni. Basta dare l’equivalente di quello che avreste speso soggiornando in un posto economico.

Io sono stata per lo più in famiglia, ma mi è capitato di fermarmi anche in qualche alberghetto e campement (bungalow).

Tra i vari posti in cui ho dormito, quello che consiglierei si trova nel villaggio di Djifer, una località situata proprio nel cuore del delta del Sine-Saloun, una lingua di terra nel punto d’incontro tra mare e fiume. Se chiedete all’autista del car rapid (un furgone che fa da corriera, un po’ meno spaziosa e molto più affollata delle nostre) vi lascerà in un elegante campement segnalato sia dalla Lonely Planet sia dalla Guide de Routard, che effettivamente è assai confortevole e non caro per gli standard italiani (ma lo è per quelli senegalesi, quelli a cui io mi sono adattata!). Voi fatevi portare da Chez Badou. Badou è un cordiale vietno-senegalese che unisce lo spirito senegalese alla placidità orientale. Ex pompiere ormai in pensione, si dedica alla "ricezione alberghiera" offrendo tre piccole stanze doppie assai semplici, ma pulite. Il bagno è fuori, l’acqua non è corrente, ma vi assicuro che tutti (Svizzeri compresi!) si abituano all’uso dei secchi. Ma cos’ha di speciale questo posto? Prima di tutto la posizione: le stanze si affacciano direttamente su una spiaggetta privata, tenuta sempre pulitissima. Poi la cucina, gustosa e abbondante, tipicamente senegalese e vietnamita su richiesta. La cortesia non ha prezzo, ma per la pensione completa pagherete 7 euro e 50.

Perché in Senegal?
Non che ci siano voluti tre viaggi in Senegal per avere conferma della prima buona impressione. Ricordo che fin dal momento in cui ho messo il piede fuori dall’aeroporto, la prima volta tre anni fa, insensibile al caldo torrido che faceva, soprattutto dopo 6 ore di aria condizionata in aereo, ho sentito che questo paese sarebbe stato esattamente come me lo aspettavo: splendido e così è stato... ma al terzo viaggio posso dire di conoscerlo un po’ e di amarlo molto.

Splendido non vuol dire bello di bellezze artistiche, perché è molto più facile trovare reperti d’arte africana (per lo più maschere e affini) a Parigi che all’IFAN di Dakar, un museo che fa sorridere a confronto di un qualsiasi museo artistico-antropologico francese. Non che l’arte non esista in Senegal, semplicemente va cercata. Una volta scoperte le prime tracce, si resterà sorpresi dalla miriade di espressioni artistiche "informali" presenti. L’arte ufficiale, invece, fatica ad emergere, perché per un certo periodo (assai lungo) mancava: qualcuno, vedi la Francia, non ha dato la possibilità di sviluppare una valorizzazione del patrimonio artistico nazionale, quindi la "cultura dell’arte" ha faticato a diffondersi. Forse oggi, dopo quarant’anni d’indipendenza, si comincia a muovere in questa direzione.

Le bellezze naturali, invece, non mancano. Basta uscire da Dakar, considerata sì la Parigi dell’Africa, ma pur sempre una caotica, inquinata, trafficata metropoli africana, che pullula di vita, di fermento culturale, ma non brilla per armonie architettoniche. Semplificando, se si va verso nord ci s’imbatte nella brousse, un paesaggio arido fatto di terra rossa, smilze piantine di arachidi e maestosi baobab: un luogo suggestivo e magico specie al calar del sole, quando si può ancora godere del buio e del silenzio più assoluto. Se si va verso sud, verso la regione della Casamance, per intenderci, il paesaggio cambia volto, si fa più lussureggiante, chiudendosi nella foresta con i suoi alberi dalle molteplici fogge e i suoi uccelli variopinti, che fanno dimenticare i focolai di guerriglia indipendentista della zona (nulla al confronto delle guerre fratricide che come ben sappiamo martoriano altri Paesi del continente).

E poi c’è la gente, la vera bellezza del Senegal, non solo perché considerati il popolo più bello del continente. Chiunque abbia avuto modo di conoscere un senegalese a Milano, andando oltre il classico "No grazie, non compro nulla" rivolto al venditore per la strada, avrà avuto modo di scoprirne la mitezza, la solarità, la naturale apertura verso l’altro. Non per niente uno dei valori nazionali senegalesi è la teranga: l’ospitalità. L’accoglienza dello straniero è sacra. Il farlo sentire a casa propria offrendogli tutto quello che si ha, anche se è poco, è un dovere naturale. Dove si mangia in tre d'altronde si può mangiare anche in quattro, in cinque… La povertà (che ho visto io e che, va detto, non è la più estrema) qui non abbruttisce, non si fa miseria, perché nel senegalese vi è qualcosa che non è rassegnazione, ma serena accettazione di quel che si è e di quel che si ha, cosa che noi dall’altra parte dell’oceano non conosciamo granché. Basta guardare i bambini, tanti tantissimi, ovunque, sempre sorridenti, che si divertono con niente (un carrettino fatto di fil di ferro, un pallone di stracci), ancora capaci di candore, di stupore. Lo stesso che può provare qualsiasi italiano se, una volta là, riesce ad uscire dai suoi schemi, mentali e non, si libera dalle sue abitudini, alias comodità, e si abbandona fatalisticamente agli eventi, cominciando a fare suo il proverbiale inch’allah (se Dio vuole).