La tomba di Giulio II in San Pietro in Vincoli
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Il mausoleo di papa Giulio II in san Pietro in Vincoli appare già al primo colpo d’occhio un monumento “incoerente”: la mancanza di continuità tra l’ordine inferiore e quello superiore, un senso di incompiutezza e la strana postura del pontefice semi-sdraiato come un romano antico sul triclinio, “turbano” la visione della tomba e raccontano qualcosa della sua tormentata realizzazione durata esattamente quarant’anni. Nel 1505 infatti Giulio II, fresco di investitura papale, commissiona a Michelangelo (dimostrando una certa previdenza) la realizzazione di un sepolcro degno della sua carica, una testimonianza in marmo, monumentale e grandiosa, del pontificato destinato a rafforzare il potere spirituale e politico della Chiesa e del suo Stato. Il progetto della rinascita di Roma, la renovatio urbis alla luce della continuità tra religione cristiana e cultura pagana era stato il nocciolo del programma politico-spirituale dei papi del Rinascimento, ma fu sicuramente la committenza di Giulio II ad allargare le ambizioni della Chiesa e fare dell’arte il suo migliore strumento di propaganda e celebrazione: sotto la stretta sorveglianza del pontefice lavorarono Michelangelo, Bramante e Raffaello, in alcuni casi a progetti che si completavano reciprocamente… e forse la compresenza di sì menti sublimi nella stretta cerchia vaticana non doveva essere del tutto priva di malignità e invidie…
Il progetto originale della Tomba su cui Michelangelo aveva lavorato con tanto entusiasmo naufragò dopo soli otto mesi e fu il primo di una lunga serie di revisioni, tutte “al ribasso”, che si succedettero tra mille ostacoli nell’arco di circa quarant’anni. Conserviamo traccia di queste versioni di volta in volta rivedute e corrette attraverso schizzi e disegni preparatori, lettere e contratti in cui sono minuziosamente descritti preventivi, compensi e clausole. Eppure le magniloquenza del pontefice doveva aver spronato Michelangelo a non lesinare riguardo alla quantità di marmo da impiegare per le circa quaranta statue che avrebbero ornato il sepolcro; inoltre la collocazione prevista dal pontefice, la nuova basilica di San Pietro ricostruita nientemeno che da Bramante, richiedeva la massima cura nella preparazione e nell’esecuzione.. Se vogliamo credere alle parole dello stesso Michelangelo, il fallimento del progetto fu in gran parte responsabilità (nientemeno) di Bramante e Raffaello, che durante la sua assenza convinsero il papa ad affidare a Michelangelo l’affresco della Cappella Sistina, sperando in un clamoroso “flop” da parte di uno scultore alle prese coi pennelli. Michelangelo, però, indignato, rifiutò la commissione e fuggì a Firenze piuttosto rocambolescamente. |
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primo progetto |
secondo progetto |
terzo progetto
Erma: nell'antica Grecia pilastro rettangolare terminante superiormente con la raffigurazione scolpita di una testa umana, che in origine era quella del dio Ermes.
Lesena: pilastro lievemente sporgente da un muro con funzione ornamentale. |
Il primo progetto rivela una impostazione su due ordini sovrapposti che rimarrà pressoché costante anche nelle versioni successive. La tomba è concepita come un monumento isolato: il basamento presenta erme, nicchie, statue delle Virtù e delle Arti Liberali. Agli angoli della piattaforma dell’ordine superiore Michelangelo colloca quattro statue che rispecchiano il neoplatonismo che anima l’opera: Mosè e San Paolo, Rachele e Lia sono simboli del dualismo rispettivamente tra conoscenza cognitiva e intellettuale, vita contemplativa e attiva; sulla sommità del sepolcro svetta il pontefice forse in atteggiamento benedicente. Dopo la ribellione al papa-despota, Michelangelo tornò sui suoi passi e tra il 1508 e il 1512 si dedicò esclusivamente alla Sistina, ma il papa, poco dopo lo scoprimento dell’affresco, abbandonò le proprie spoglie terrene, senza un degno sepolcro dove farle riposare. Durante il 1513 venne raggiunto un nuovo accordo tra gli eredi della Rovere, la famiglia del pontefice, e lo scultore che si impegnò a terminare l’opera entro il 1520.La seconda versione della tomba prevede vistose differenze rispetto a quello originale: la prima è la disposizione a parete e non più come monumento isolato, le altre sono le dimensioni complessivamente maggiori dei volumi e un numero ridotto delle statue di decorazione. Il lato lungo (parallelo alla parete di appoggio) avrebbe comunque misurato due volte e mezzo la lunghezza della fronte, permettendo il mantenimento della piattaforma superiore. Il basamento presenta sei nicchie, tre per ogni lato, contenenti ognuna una coppia di statue, nelle quali una ne atterra un’altra. Ciascuna nicchia è chiusa da due pilastri davanti ai quali figurano le statue dei prigioni. La piattaforma superiore vede al centro il sarcofago perpendicolare alla parete: lo reggono quattro grandi angeli, sei statue più piccole ornano il margine della tomba. Le statue di Mosè, San Paolo, Rachele e Lia, a causa della nuova disposizione a parete, non si trovano più ai quattro angoli, ma concorrono a formare un imponente complesso scultoreo con quelle poste intorno al pontefice. Dietro al sarcofago si innalza una “cappelletta” o “ancona” alta quanto la profondità della tomba, che inquadra una statua della Madonna: ai lati di essa e sui muri di risvolto trovano probabilmente posto quattro figure di santi. |
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quarto progetto |
Nel 1516 il progetto subisce un’ulteriore ridimensionamento: sempre Michelangelo imputa la responsabilità dell’ennesima battuta di arresto a papa Leone X (un Medici) che lo aveva spedito a Firenze ad occuparsi della facciata della chiesa di San Lorenzo. Il nuovo accordo, che prevedeva il termine del lavoro entro il 1525, trasforma definitivamente il sepolcro in un monumento a parete: sul lato perpendicolare alla parete c’è spazio sufficiente per una nicchia soltanto. Sul piano superiore il numero delle statue si riduce a due, poste tra le lesene ai lati. Il pontefice viene ritratto seduto oppure all’interno di un sepolcro parallelo alla parete. Durante questi anni però Michelangelo deve aver meditato sull’assetto della tomba, soprattutto per quanto riguarda il basamento: ne sono una prova i Prigioni custoditi alla galleria di Firenze. Rispetto a quelli conservati al Louvre (lo schiavo ribelle e lo schiavo morente, emblemi delle arti liberali) sono leggermente più alti e scolpiti in blocchi più profondi, segno che Michelangelo voleva accentuare il carattere monumentale dell’opera. Ma anche questa nuova visione rimase incompiuta. A questo periodo risale anche l’unico gruppo di statue realizzato per una delle nicchie del basamento: il genio della Vittoria, oggi conservato presso le Gallerie dell’Accademia di Firenze. La morte nel 1523 di uno degli esecutori testamentari di Giulio II spinsero i della Rovere a chiedere a Michelangelo l’affidamento dei lavori a Jacopo Sansovino, ma la proposta venne seccamente rifiutata: estenuanti trattative portarono a un quarto compromesso sulla tomba sotto il patrocinio di papa Clemente VII: sei statue autografe del maestro e cinque realizzate dagli aiuti. Ma la morte di Clemente VII e la successione di Paolo III Farnese assestarono un duro colpo anche a questo fragile accordo: il nuovo papa non riteneva una priorità portare a compimento il mausoleo del suo illustre predecessore. A un riluttante Michelangelo venne commissionato prima l’affresco del Giudizio Finale nella Sistina e subito dopo la decorazione della Cappella Paolina. La caparbietà con cui il pontefice negava di prestare l’opera del suo artista di punta agli esasperati della Rovere, costrinse i duchi di Urbino ad accettare l’ultimo, svantaggioso accordo: per il sepolcro, ormai traslato dalla Basilica in Vaticano a San Pietro in Vincoli, Michelangelo avrebbe “firmato” solo tre sculture (Mosè, lo schiavo morente e lo schiavo ribelle); altre tre sarebbero state realizzate da un aiuto. Ma ci fu anche qui un estremo ripensamento: i prigioni inseriti nelle nicchie della fronte vennero sostituiti dalle statue di Rachele e Lia, forse perché le loro nudità erano ritenute scandalose, come i numerosi nudi dipinti nella Sistina ai quali successivamente vennero applicate le famose “pezze”. Questa è la versione definitiva come oggi possiamo ammirarla in San Pietro in Vincoli: essa è il sepolcro di un papa e la testimonianza del tormento spirituale e terreno di Michelangelo, della frustrazione di un’artista non più padrone della sua ispirazione e forse della sua sfiducia verso il potere e verso coloro che lo esercitano. |
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