A QUALCUNO PIACE IL CINEMA PERFETTO

 

Ho avuto l’occasione di vedere al cinema per la prima volta il film di Billy Wilder che più amo: A QUALCUNO PIACE CALDO.

Si presenta con  le vesti di un  noir; si delineano, infatti, a poco a poco,  tutti i cliché e gli elementi caratterizzanti del genere: l’inseguimento in auto iniziale che  mette subito in luce lo splendido bianco e nero di Charles Lang jr, il contrabbando d’alcool (nascosto nelle casse da morto), i locali camuffati da pompe funebri, in cui si beve “caffè” scozzese, canadese, distillato e impazza il jazz (caldo), i gangster italo-americani, con le loro fissazioni, come Ghette, Stecchino (omaggiato da Benigni, nel suo film), interpretati da attori di “veri” film gangster e la resa dei conti: la strage di S. Valentino. Ma il mondo dei gangster resta una cornice, un semplice contesto da ribaltare, come in ogni commedia che si rispetti, prima dandone un assaggio, poi accantonandolo e, alla fine, all’improvviso, riprendendolo, per spiazzare, destabilizzare.

E l’elemento destabilizzante è rappresentato dalla coppia Jack Lemmon - Tony Curtis: un  violoncellista e un sassofonista spiantati,  estranei a questa situazione, anzi in fuga disperata da essa, in quanto testimoni dell’eccidio di Ghette. Per salvarsi la pelle, allora, i due sono costretti a vestire panni femminili. Ovviamente, quando Joe diventa Josephine e Jerry Daphne, il film si fa esilarante. A QUALCUNO PIACE CALDO è un antesignano dei film en travestì, di cui incarna le due facce. Joe, sicuro di sé, donnaiolo, che riesce a cavarsela sempre e comunque,  fa un doppio uso del travestimento: è donna per sfuggire ai gangster che danno la caccia a lui e a Jerry, milionario per conquistare la vera protagonista femminile e passa da una all’altro con estrema disinvoltura. Jerry, pacioso e arrendevole, si cala a tal punto nel ruolo (si sceglie il nome e non volge al femminile il proprio), si trova così a suo agio che non vuole più uscirne, tanto più dopo aver trovato il milionario che lo/la vuole sposare! Tra i due, ormai motore del film, è un continuo scontro- incontro, essere complici nella fuga e rivali nella conquista di lei, di Zucchero Kandinski: Marilyn Monroe, l’unica in grado di rubar loro la scena.

Memorabile la sua apparizione: musica “ubriaca”, inquadratura di spalle, che parte dai tacchi a spillo su, su, fino al cappellino, ad  immortalare il suo famoso ancheggiare, con tanto di fischio della locomotiva del treno. Zucchero appare subito in tutta la sua fragilità, vulnerabilità, ingenuità, in cui non riesce a non cadere. Quando dice che sta fuggendo da tutti quei sassofonisti, per i quali ha un debole, che l’hanno spremuta come un tubetto di dentifricio, sappiamo già che cadrà nelle braccia dell’ennesimo sassofonista imbroglione, Joe. Marilyn è  così vera che il pensiero corre alla sua persona, alla sua storia, cadendo, per un attimo, nella leggerezza di dimenticare che sta recitando, interpretando una parte. Colpa del candore, dell’innocente magnetismo che sprigiona, che la rende perfetta per incarnare lo stupore, il disincanto di colei che è sfiorata dalle cose del mondo, ma non scalfita, vittima senza essere vittimista. Ma, anche, merito di una vis comica che Wilder, Hawks  e gli altri registi con cui ha lavorato hanno riconosciuto.

Il film, dopo una serie di gag e colpi di scena dal ritmo scoppiettante, si conclude con la famosa battuta in bocca al caratterista  Joe E. Brown: “Nessuno è perfetto”. Mi sembra incarni alla perfezione lo spirito bonario di Wilder: satira, dissacrazione, ma bando al moralismo.

 

CINZIA QUADRATI