Federico Mataloni. BUONGIORNO! CINEMA.

...e consideravo tra me la possibilità di tirarmi indietro. Ma non l'ho fatto. In parte, non l'ho fatto perché di carattere sono una persona che tira avanti, una comunista, ho orrore dei mutamenti di rotta. E poi perché un progetto rivoluzionario di quell'altezza, di quell'ambizione, non può essere sostenuto se rimangono margini di dubbio. Io non avevo dubbi morali o politici, avevo paura: è diverso. (Anna Laura Braghetti)

Iniziamo dalla sterile polemica post-festival. Evidentemente la RAI (Bellocchio si è gustato il successo delle sale lontano dal Lido) si aspettava un riconoscimento in contropartita della produzione della pellicola, tanto che dopo aver raccolto poco o nulla, ha intimato di non presentare mai più proprie produzioni a festival internazionali. Questa dichiarazione è di per sé scandalosa e evidenzia senza mezzi termini in che stato versa il nostro cinema, non tanto inteso come idee e soggetti (che ultimamente - dopo anni di sterilità - tornano a farsi originali), quanto come investimenti e scelte produttive. I tanto invidiati-bistrattati colleghi francesi, accusati di estremo e autarchico nazionalismo, mi sembra non premino un proprio film a Cannes ormai da parecchi anni (l'ultimo è dell'87 - Sous le soleil de satan di Maurice Pialat). Lasciandoci alle spalle il giudizio della giuria monicelliana (mai dispendioso di complimenti verso i registi impegnati - vedi Moretti), speriamo semplicemente che il film russo vincitore sia più bello di quello di Bellocchio.
Molti avevano trovato l'alibi di una storia prettamente italiana - il terrorismo, il caso Moro - di cui i poveri giurati non potevano cogliere i toccanti risvolti e rimanerne quindi trascinati, come se negli anni '70 i morti fossero caduti solo qui da noi… Ma, vedendolo, ci accorgiamo che il sequestro Moro è solo l'ambientazione della storia, lo sfondo di una trama che scorre su binari psicologici, più che su quelli della cronaca. E film psicologici come questo, che affrontano il tema del terrorismo rosso degli anni '70, vennero premiati in passato proprio a Venezia: Anni di Piombo della Von Trotta (1981) e Prénom Carmen del Godard (1983). Quest'ultimo in realtà ha avuto principalmente il merito di mostrare senza veli, per 90 minuti, la lasciva bellezza di Maruschka Detmers - tra l'altro poi sfruttata anche dal Bellocchio ne Il Diavolo in Corpo in scene analogamente morbose (fellatio compresa).

Buongiorno, notte è incentrato sulla memoria e sulla figura di Anna Laura Braghetti (Chiara nel film), proprietaria dell'appartamento di via Montalcini e custode insieme a tre compagni (Mario Moretti, Germano Maccari e Prospero Gallinari) del presidente democristiano. Il colpo di genio è raccontare uno degli eventi che più hanno segnato la storia della nostra triste prima repubblica attraverso le scelte e le perplessità di una giovane terrorista, da poco iniziata alla rivoluzione armata. Vi ritroviamo anche richiami religiosi, già evidenziati ne L'ora di religione: il rapporto padre-figlio, il comportamento dogmatico dei terroristi che recitano, quasi in forma di orazione, i loro slogan ("Solo il popolo può giudicare"), l'enfatizzazione del pontefice che nulla può davanti al veto "senza condizioni" del partito di governo.
Qualcuno si sarebbe aspettato di assistere ai risvolti del sequestro, i patteggiamenti, i dibattiti e i malumori interni ai partiti, le indagini a dir poco ridicole (come la ricerca del corpo di Moro intorno al lago Trasimeno, in seguito alla rivelazione di un medium, durante una seduta spiritica, a cui partecipava anche un giovane Prodi), le scelte e le motivazioni sociali delle BR. Bellocchio invece non sceglie la via documentaristica e concentra il proprio discorso sulla riflessione della Braghetti. Il film è liberamente tratto proprio dal libro-testimonianza della ex terrorista (Il Prigioniero - Universale Economica Feltrinelli).
Assistiamo quindi all'acquisto dell'appartamento, al suo arredamento, alla costruzione dell'angolo-prigione, nascosto dietro la libreria. Piccoli gesti quotidiani di una giovane coppia borghese che sembrano nascondere il tragico fine ultimo.
Attraverso gli occhi della protagonista si passa dall'euforia della riuscita del sequestro all'evolversi di una crisi interiore, un dubbio crescente, la percezione della distanza tra quella scelta e il sentire della società civile (il giorno stesso del rapimento a Roma viene organizzato uno sciopero generale e Lama - davanti agli occhi allibiti dei quattro carcerieri - parla in piazza prendendo le distanze da coloro che chiama assassini).
Una scena su tutte mette in risalto questo divario. La gita domenicale con gli zii (Chiara è rimasta orfana), durante la quale amici e parenti ex partigiani intonano alzando i calici Fischia il vento, e la gente intorno si unisce spontaneamente commossa. È questa comunione gioiosa che Chiara sente mancare intorno a sé e ai compagni brigatisti. Questi dubbi prendono forma la notte. Le scene oniriche sono il collante del film e rappresentano una realtà parallela, la potenzialità di una scelta coraggiosa, la materializzazione dell'inconfessabile desiderio di Chiara di vedere Moro libero. Il presidente si aggira infatti nell'appartamento e veglia paterno la ragazza accanto al suo letto.
Quando Chiara ascolta la lettera di Moro, indirizzata a Paolo VI, versa lacrime di rabbia - conscia della propria impotenza, non di commozione come crede l'ostaggio. E ancora, leggendo quella rivolta alla moglie, la ragazza evoca, avvolta dalle note strazianti di The Great Gig in the Sky, le ultime parole dei partigiani prima dell'esecuzione (Le lettere dei prigionieri politici, che il padre le leggeva da piccola). La completa identificazione di Moro con la figura paterna non fa che accentuare il terrore dell'imminente patricidio, esorcizzato solo dal sogno finale. Moro vaga per le vie di Roma, finalmente libero. La sua fuga viene però alternata alle crude immagini di repertorio dei suoi funerali, con i primi piani dell'organico democristiano, responsabile morale dell'omicidio.

Anna Laura Braghetti, superato il dramma del sequestro Moro, proseguirà il percorso della lotta armata fino alle estreme conclusioni: il tragico omicidio del professor Bachelet, di cui è esecutrice materiale, e l'arresto avvenuto nel 1980.

La sfida mi ha progressivamente coinvolto, ma io ben presto ho capito che rispetto a quella tragedia dovevo affermare un’infedeltà, diversamente da altre ricerche storiche o filmiche. Non mi ha mai interessato in questo film capire chi c’era dietro al sequestro, se solo i terroristi, la Cia, il Kgb. Questione che pure resta importante. Ma io ho voluto capire se in questa tragedia ci fosse una traccia che andasse in senso contrario al dramma. (Marco Bellocchio)

Buongiorno, notte

Soggetto, sceneggiatura e regia: Marco Bellocchio.

Interpreti: Maya Sansa, Luigi Lo Cascio, Giovanni Calcagno, Paolo Briguglia, Roberto Herlitzka.

filmografia:  Buongiorno, notte (2003),  Addio del passato (2002),  L'ora di religione - il sorriso di mia madre (2002),  Un altro mondo è possibile (2001),  La balia (1999),  Sorelle (1999),  Il principe di Homburg (1997),  Il sogno della farfalla (1994),  La condanna (1990),  La visione del Sabba (1988),  Il diavolo in corpo (1986),  Enrico IV (1984),  Gli occhi, la bocca (1982),  Vacanze in Val Trebbia (1980),  Salto nel vuoto (1979),  Il gabbiano (1977),  Marcia trionfale (1976),  Matti da slegare (1975),  Sbatti il mostro in prima pagina (1973),  Nel nome del padre (1971),  Amore e rabbia (1969),  Paola (1969),  La Cina è vicina (1967),  La colpa e la pena (1965),  I pugni in tasca (1965),  Ginepro fatto uomo (1962),  La colpa e la pena (1961),  Abbasso il zio (1961).