Denti bianchi |
Una
precisazione prima di procedere: Zadie Smith ha scritto il suo libro
d’esordio a ventisei anni… non me ne voglia l’autrice se, alla stessa
età e senza titolo, scrivo qualche riga a proposito di “Denti
Bianchi” iniziando con un consiglio: non leggete questo libro due volte,
in seguito spiegherò il perché. Non
è per le 553 pagine: non c’è
da preoccuparsi, scorreranno fresche e frizzanti come vino in gola e tante
bastano per raccontare un’amicizia virile, quella tra due uomini,
Archibald Jones e Samad Iqbal, che nessun punto di vista potrebbe
accomunare se non quello della mezza età. Archie, inglese medio, vola
basso e ha poche ambizioni. Appare per primo all’inizio del libro,
riverso sul volante della sua auto intento ad ammazzarsi col gas di
scappamento il 1° Gennaio 1975 (ci ripenserà). Samad è bengalese: colto
e altolocato in India, cameriere e invalido in Inghilterra, vive il tormento quotidiano della non appartenenza né
a questo né a quel mondo. Eppure
le loro vite al bivio della Seconda Guerra Mondiale si incrociano per
scorrere, pressoché parallele, per più di trent’anni svoltando
contemporaneamente allo svincolo del matrimonio e dei figli. Mescolanze
azzardate e poco riuscite di razze, religioni e generazioni porteranno
frutti insoliti, effetti inaspettati e indesiderati. Archie sposando la
giamaicana Clara Bowden è il
Bianco che si ritrova a letto il
Nero, bellissimo quanto sconosciuto fino a quel momento. Dal
canto suo Samad, musulmano rigido, cede alla tentazione (il sesso) e al
peccato (l’adulterio) per mano di una maestrina di musica, chioma rossa
e pelle di latte. Il disperato tentativo di espiare la colpa e salvare i
figli gemelli (anzi uno solo
di essi) dalla schizofrenia culturale che lo affligge, fallisce
miseramente: la prole di Samad non getterà il suo seme nel solco profondo
dell’Islam e della Tradizione e mentre uno sceglierà la via luminosa
della scienza e della ragione, l’altro imboccherà la strada della
Militanza Religiosa Organizzata indossando completo nero e papillon verde. L’inconciliabilità
tra Oriente e Occidente mischia le carte delle certezze e dei valori e
confonde l’identità di chi ha metà (o doppia?) “cittadinanza”. I
soli geni non garantiscono la certezza di sapere chi siamo: la realtà
circostante, anche se diversa o ributtante, prima o poi riesce a filtrare
come acqua nel muro di rifiuto più spesso e così
come l’acqua, le giovani
generazioni scivolano via attraverso le maglie del passato e della
tradizione. Dalle
pagine di “Denti Bianchi” l’integrazione
appare socialmente come un’utopia impossibile e psicologicamente come
sradicamento e spaccatura interiore per coloro che appartengono a due
razze o che non provengono dal luogo dove vivono. E’ non c’è da
stupirsi se la scrittrice abbia vissuto per prima sulla sua pelle le
conseguenze dell’accostamento di un nome esotico come Zadie al cognome
anglosassone per eccellenza. La
stessa scelta del titolo col riferimento ai denti e al loro valore
antropologico lascia intuire la volontà di un percorso a ritroso verso
l’umano originario e “primitivo”: i denti indicano lo stato di
salute, sono il dato certo per il riconoscimento dei cadaveri e, in
psicologia, la perdita dei denti in sogno è collegata con la sessualità
e l’identità personale. Zadie
Smith racconta tutto questo conscio
e inconscio, visibile e invisibile, con
voce partecipe ed ironica,
divertente e graffiante, ma avrebbe potuto risparmiarci qualcosa tagliando
qua e là l’abbondante surplus… Per questo leggete questo libro una
volta sola o verrete risucchiati dal vortice di intrecci, simboli, date e metafore che sono il tessuto del libro.
Vi ho avvertito. |
di Zadie Smith |