FINALE DI PARTITA

di Samuel Beckett

regia di Lorenzo Loris

 

Nello spazio teatrale Out Off (da sempre un punto di riferimento per la scena underground milanese ed ormai trasferitosi nella nuova sede di via Mac Mahon) è in scena uno dei capolavori di Samuel Beckett: Finale di partita.

La regia è quella sobria di Lorenzo Loris: un allestimento essenziale per cupe atmosfere, come richiede la drammaturgia beckettiana.

Su un trono al centro della scena siede il cieco padrone di casa Hamm, interpretato da Paolo Pierobon, mentre intorno a lui giostra beffardo il servo Clov.

In due bidoni della spazzatura posti su un lato riposano i genitori di Hamm, mutilati negli arti.

La trama è pressoché inesistente; si svolge semplicemente un gioco al massacro tra padrone e servo, con i genitori che talora escono dal bidone per reclamare la pappa e scambiarsi frasi affettuose o strampalate accuse.

La visione disperata dell’esistenza secondo Beckett si realizza nel crudo sarcasmo dei personaggi e nella consapevolezza che la vita sia un gioco assurdo, il quale per fortuna deve avere una fine.

Lo spettacolo è ben riuscito e gli attori sanno dosare i toni, regalando momenti di surreale umorismo e di ilarità macabra, alternati a sfuriate improvvise.

Servo e padrone si affrontano in una partita nevrotica e patetica, consci dell’assurdità del tutto: in attesa il primo di abbandonare la casa e i suoi compiti, il secondo della morte consolatrice.

Hamm inventa assurde mansioni da far svolgere a Clov, il quale si trova in ogni momento ad occuparsi del nulla - e in certi momenti è lui a prendere il bastone del comando.

Nella casa regnano la decadenza e il vuoto dell’anima, ma il mondo esterno, per quel che si può vedere dalle finestre della scura dimora, forse è marcito del tutto insieme alle infelici creature che lo popolavano.

Paolo Pierobon si conferma uno dei migliori giovani attori del teatro italiano (lo ricordiamo come uno Jago potentissimo nell’Otello allestito al Libero e come un sulfureo commissario Calabresi in Morte accidentale di un anarchico rappresentato all’Elfo), capace di variare il registro senza mai perdersi: dall’aulico al quotidiano, dal tragico all’ironico, dalla passionalità sfrenata alla malinconia dolente.

A quando la consacrazione nei teatri “maggiori” e il meritato successo, prima che smetta di essere uno dei giovani interpreti più interessanti delle scene nostrane per raggiunti limiti d’età?

In attesa che un giorno arrivi un segnale concreto (ma il nostro teatro ufficiale assomiglia un po' troppo alla nostra università, dominata da vecchi “baroni”), segnaliamo anche la prova di Alessandro Genovesi (Clov), capace di esprimere la beffarda malinconia del personaggio con una vocalità  crudele e con pose fisiche clownesche.

Alla fine della partita applausi generosi  per tutti.

Si torna alla nostra esistenza desolata.

 

FABRIZIO MANTICA