federico mataloni.

PERDUToAMORE
OCCASIONePERDUTA

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 

 

 

 

 

  
consigliato: emigrati siciliani di ultima generazione (con ancora la ferita aperta) e seguaci di Red Ronnie.

La prima sensazione che traspare dallo schermo è la contrapposizione tra la leggerezza stilistica di un'opera prima e il contenuto-significato ambizioso proveniente da un artista maturo che si esprime da decenni attraverso un altro canale, coadiuvato dal virgiliano compagno filosofo. 
Il film sfugge di mano. È strutturato in micro sequenze spesso slegate che infondono un'aria di incompiutezza, di leggerezza, qualcosa che rimane a mezzaria e non si solidifica in un continuum leggibile. Anche il genere adottato è discontinuo: si passa da uno stile verista, al musical anni '50 (con gruppi di personaggi che si muovono sincronizzati non appena entrano nell'inquadratura, cadenzati dall'aria di un jukebox all'aperto), a momenti tipicamente felliniani (filtrata da una pergamena è addirittura il rifacimento della scena del Rex).

Come ci suggerisce nell'incipit l'io narrante-Sgalambro, la vita, fatta esclusione per la nascita e la morte, è costituita di brevi veglie, che si frappongono a lunghi momenti onirici. Le immagini che scorrono sopra i nostri occhi sono quindi lontani frammenti, ricordi ormai opachi e virati al seppia.
E forse la scelta autobiografica nasce proprio, come spesso accade per i novizi (vedi il Liga con Radiofreccia), da un senso di nostalgia che pervade tutta la prima parte.
La Sicilia anni '50 evoca atmosfere tornatoriane con ragazzini in bermuda che rincorrono trottole nella piazza del paese, circondati da giovani donne detentrici dell'arte domestica e della conduzione di una famiglia tipicamente matriarcale. Spesso più sagge e concrete dei mariti playboy, che buttano giornate a passeggio sotto canicole o davanti ad un Cinzano.
È la madre del piccolo Franco-Ettore che deve crescere il figlio mentre il padre, emigrato in terra francese, sperpera il patrimonio, portando a casa, invece che commesse, giovani amanti sinuose ("tu hai sposato la tua minchia!!!").
È la madre che lo stimola verso l'iniziazione musical-filosofica, appresa dalla frequentazione della famiglia patrizia del paese (Ragusa).
È la madre che accetta, a malincuore, la sua fuga verso il Nord, verso il fermento milanese dell'epico boom.

E qui a Milano, in pieni anni '60, la nevrosi del montaggio si fa più accelerata. Ettore si muove da un ambiente all'altro in un divenire schizofrenico, forse evidenziando le pulsioni artistiche che ribollivano sotto i gangli della metropoli, ma a scapito sia della comprensione del racconto, sia della caratterizzazione dei personaggi.
Di contorno, come apparizioni madonnare, il film si infarcisce di brevi cameo di amici cantanti che riempiono i buchi di una trama inesistente.
Ecco allora Ettore suonare in una balera con al basso Morgan, alla chitarra Alberto Radius (Formula Tre) e alla voce il mitico Maurizio Arceri (Krisma) che canta il suo vecchio hit Cinque minuti e poi, con la moglie Cristina che lo ascolta rapita da dietro la cassa. E ancora il rocker brianzolo Moltheni, che impersonifica un giovanissimo Battisti - il cui brano Prigioniero del mondo viene clamorosamente bocciato dalla casa discografica (tuttovero) - e che quindi ripiega in un'esibizione live (senza piattino) in Galleria del Corso. E per finire un De Gregori-critico che divaga sulla ricerca musicale di John Cage davanti ad un pubblico attonito. Sublime invece il filmino proiettato in salotto da Ettore, seduto al fianco di una giovane conquista femminile, che esalta la pratica tantra della ritenzione del seme (tema caro a Battiato e affrontato anche in Tao), massima espressione del piacere sessuale (per chi ci riesce?!?!?). Tutto il film è infine infarcito di canzonette dell'epoca, a partire da quella del titolo (Adamo) riesumate da archivi storici e raccolte chiaramente nella prossima colonna sonora, che chiude la trilogia Fleurs (si era inspiegabilmente passati dal primo al terzo capitolo…)

Mi verrebbe da consigliare che ognuno si esprima con le proprie arti e non esondi in territori ostili. Di registi mediocri è colmo il paese: se proprio si vuole imbracciare la macchina da presa, considerate le potenzialità intellettive alle spalle, si cerchi almeno di percorrere nuovi sentieri, e non chiudersi sulla commediuola all'italiana (anche se mancatamente rivisitata) per raccontare una biografia.