consigliato:
emigrati siciliani di ultima generazione (con ancora la ferita aperta)
e seguaci di Red Ronnie. |
La prima sensazione che traspare dallo schermo è
la contrapposizione tra la leggerezza stilistica di un'opera prima e il
contenuto-significato ambizioso proveniente da un artista maturo che si
esprime da decenni attraverso un altro canale, coadiuvato dal virgiliano
compagno filosofo.
Il film sfugge di mano. È strutturato in
micro sequenze spesso slegate che infondono un'aria di incompiutezza, di
leggerezza, qualcosa che rimane a mezzaria e non si solidifica in un continuum
leggibile. Anche il genere adottato è discontinuo: si passa da uno
stile verista, al musical anni '50 (con gruppi di personaggi che si muovono
sincronizzati non appena entrano nell'inquadratura, cadenzati dall'aria di
un jukebox all'aperto), a momenti tipicamente felliniani (filtrata da una
pergamena è addirittura il rifacimento della scena del Rex).
Come ci suggerisce nell'incipit l'io narrante-Sgalambro,
la vita, fatta esclusione per la nascita e la morte, è costituita
di brevi veglie, che si frappongono a lunghi momenti onirici. Le immagini
che scorrono sopra i nostri occhi sono quindi lontani frammenti, ricordi
ormai opachi e virati al seppia.
E forse la scelta autobiografica nasce proprio,
come spesso accade per i novizi (vedi il Liga con Radiofreccia), da un
senso di nostalgia che pervade tutta la prima parte.
La Sicilia anni '50 evoca atmosfere tornatoriane
con ragazzini in bermuda che rincorrono trottole nella piazza del paese,
circondati da giovani donne detentrici dell'arte domestica e della conduzione
di una famiglia tipicamente matriarcale. Spesso più sagge e concrete
dei mariti playboy, che buttano giornate a passeggio sotto canicole o davanti
ad un Cinzano.
È la madre del piccolo Franco-Ettore che
deve crescere il figlio mentre il padre, emigrato in terra francese, sperpera
il patrimonio, portando a casa, invece che commesse, giovani amanti sinuose
("tu hai sposato la tua minchia!!!").
È la madre che lo stimola verso l'iniziazione
musical-filosofica, appresa dalla frequentazione della famiglia patrizia
del paese (Ragusa).
È la madre che accetta, a malincuore, la
sua fuga verso il Nord, verso il fermento milanese dell'epico boom.
E qui a Milano, in pieni anni '60, la nevrosi del
montaggio si fa più accelerata. Ettore si muove da un ambiente all'altro
in un divenire schizofrenico, forse evidenziando le pulsioni artistiche
che ribollivano sotto i gangli della metropoli, ma a scapito sia della
comprensione del racconto, sia della caratterizzazione dei personaggi.
Di contorno, come apparizioni madonnare, il film
si infarcisce di brevi cameo di amici cantanti che riempiono i buchi di
una trama inesistente.
Ecco allora Ettore suonare in una balera con al
basso Morgan, alla chitarra Alberto Radius (Formula Tre) e alla voce il
mitico Maurizio Arceri (Krisma) che canta il suo vecchio hit Cinque
minuti e poi, con la moglie Cristina che lo ascolta rapita da dietro
la cassa. E ancora il rocker brianzolo Moltheni, che impersonifica un giovanissimo
Battisti - il cui brano Prigioniero del mondo viene clamorosamente bocciato
dalla casa discografica (tuttovero) - e che quindi ripiega in un'esibizione
live (senza piattino) in Galleria del Corso. E per finire un De Gregori-critico
che divaga sulla ricerca musicale di John Cage davanti ad un pubblico attonito.
Sublime invece il filmino proiettato in salotto da Ettore, seduto al fianco
di una giovane conquista femminile, che esalta la pratica tantra della
ritenzione del seme (tema caro a Battiato e affrontato anche in Tao),
massima espressione del piacere sessuale (per chi ci riesce?!?!?). Tutto
il film è infine infarcito di canzonette dell'epoca, a partire da
quella del titolo (Adamo) riesumate da archivi storici e raccolte chiaramente
nella prossima colonna sonora, che chiude la trilogia Fleurs (si
era inspiegabilmente passati dal primo al terzo capitolo…)
Mi verrebbe da consigliare che ognuno si esprima
con le proprie arti e non esondi in territori ostili. Di registi mediocri
è colmo il paese: se proprio si vuole imbracciare la macchina da
presa, considerate le potenzialità intellettive alle spalle, si
cerchi almeno di percorrere nuovi sentieri, e non chiudersi sulla commediuola
all'italiana (anche se mancatamente rivisitata) per raccontare una biografia. |