Space Cowboys + Switched live at Public House

Sacca d’Esine, 9 maggio 2006

Essendoci persi l’esibizione della band di supporto, perché ci trovavamo dalla parte sbagliata del palco, andiamo subito a commentare la performance degli Space Cowboys, il gruppo capitanato per oltre 15 anni da Mauro Capoferri, uno dei pochi (ma proprio pochi, a dispetto di quanto cianciano i comunicati stampa delle case discografiche, alternative e non, della nostra penisola) talenti veramente rock, visceralmente rock, cromosomicamente rock, presenti in Italia.

Il live set degli Space Cowboys mantiene per tutti gli 80 minuti di durata un impatto impressionante, le canzoni vengono dipanate con sicurezza, grinta e competenza. I brani sono relativamente lunghi, perché costruiti su un interessante alternarsi di parti cantate e momenti strumentali, laddove i musicisti esprimono le loro capacità, senza strafare, ma anche senza complessi d’inferiorità, dando così contemporaneamente prova di buona tecnica di esecuzione e di promettenti capacità di arrangiamento.

Apprezziamo così la compattezza tutt’altro che monolitica e monotona, ma sufficientemente variegata, della sezione ritmica, gli incastri delle due chitarre, una dedita a riff pirotecnici e l’altra a tessiture limpide ed efficaci, gli interventi delle tastiere che, con suoni prevalentemente d’organo e piano elettrico, restituiscono atmosfere piacevolmente vintage, la voce, che diremmo melodicamente aggressiva, cioè né melensa o isterica come la stragrande maggioranza delle ugole nostrane che provano a cimentarsi nel nostro genere preferito, ma funzionale all’atmosfera (power pop dicono gli stessi Space Cowboys, hard-garage glossiamo noi) delle canzoni.

Le cover che punteggiano il set sono emblematiche dello stile del gruppo: il rock’n’roll basico di “Louie, Louie”e quello più suadente ed intrigante di “Sunday Morning” e “The one I love”. I pezzi originali hanno lo stesso DNA, ma lasciano a volte  emergere pennellate psichedeliche durante le divagazioni al di fuori del canovaccio strofa/ritornello che fanno presagire possibili sorprendenti mutazioni del sound. Sound che, ad onor del vero, non si è mai fossilizzato in un modello statico nel corso della lunga carriera del gruppo ma, senza tradire però le intenzioni originali tentando di inseguire funambolicamente mode alle quali le cosiddette nuove band italiane arrivano pateticamente in ritardo di un paio d’anni, si è evoluto, è cresciuto ed è migliorato fino ai livelli che hanno reso la serata di cui abbiamo detto un evento musicale di ottima qualità.

P.S. complimenti al gestore del Public House, che crede in questi eventi e a questa qualità, garantendo ogni martedì musica dal vivo nel suo locale.

Altro P.S. per contatti e informazioni è possibile visitare il sito www.spacecowboys.it.

 

Antonello Quarta

digilander.iol.it/Quarta

antonello4@fuorileidee.com