TRIBALISTAS

Tribalistas (2003)

Un disco (non solo) per l'estate.

 

Capita: quando si è con la guardia abbassata, ascoltando distrattamente le peggiori radio commerciali, gironzolando in negozi di dischi senza nessuna pretesa, non pensando affatto ad una qualsiasi lista di uscite discografiche fra cui selezionare gli acquisti, in vacanza, insomma, e d'estate, e al mare… capita, dunque, di incappare involontariamente in musica che non si  è cercata, su cui non si sia fatta nessun'indagine particolare a livello di recensioni, e dalla quale le proprie abitudini di ascoltatore consapevole e un po' snob ti dovrebbero tenere alla larga, visto il trash balnear-televisivo all'interno del quale è stata avvistata. Bene, quale iniezione di buonumore, scoprire che dietro il tormentone estivo c'è un gruppo e un disco notevole, da godersi in autunno in santa pace, quando il fastidioso clamore del pubblico sarà scemato e diretto verso altre scemenze!

 

E' il caso dei Tribalistas e del loro omonimo debutto. Senza tanti giri di parole: musica brasiliana, ma con nessuna concessione a sbruffonerie carioca, integrata nella tradizione, ma scevra da soluzioni oleografiche, naturalmente moderna e modernamente naturale: il terzo millennio è tutto nel disco, ma non costituisce una corazza che soffoca il fluire dei suoni e delle voci, solo ce li rende contemporanei e ce li fa apprezzare esattamente come quelli che emergono dall'underground del nostro disastrato occidente. Un obiettivo (non so se cercato, però sicuramente raggiunto) di tutto rispetto, ma i musicisti coinvolti non sono certo gli ultimi arrivati, anche se i nomi di Carlinhos Brown, Arnaldo Antunes e Marisa Monte non avranno detto molto alle folle festivalbariere. Su tutto il lavoro aleggia poi la presenza di Arto Lindsay - se non lo conoscete, digitate il suo nome su un motore di ricerca, per favore - maestro della contaminazione coraggiosa (fra la bossanova e la nowave per intenderci, mica scialbi remix dance delle canzoni dei nostri nonni), a garantire che al piacere auditivo si arriva solo se si è disposti a raccogliere le sue sfide.  

Belli tutti e tredici i pezzi dell'album, compreso "Jà Sei Namorar", con cui ci hanno bombardato l'intera estate. Io, dovendo scegliere, vi raccomando "Passe em Casa", con i suoi ammiccamenti HipHop, rumori chitarristici probabilmente Lindsayani e un cantato disteso e solare, la delicata e languida "O Amor E' Feyo", intrisa di gocce pianistiche e slittanti chitarre, "Mary Cristo", quasi una ninna nanna e la liquidissima "Là de Longe", costruita magistralmente sull'inseguimento, accavallarsi e sciogliersi di voci maschili e femminili.

 

ANTONELLO QUARTA

DIGILANDER.IOL.IT/QUARTA